Di Ruggero Alcanterini
IL SESTO CERCHIO – Quella di dare forma alla “universalità dello sport per tutti” con un grande cerchio, il sesto, che comprendesse anche i cinque del logo olimpico, fu una idea degli anni novanta, nel 1996 per l’esattezza. Sorvolo sulle rappresentazioni sceniche a Roma e Barcellona, passando per la sede del CIO a Losanna, sul compiacimento di Vittorio Sgarbi, allora Presidente della Commissione Cultura della Camera, per arrivare al dunque, ovvero al fatto che aver sottovalutato per decenni il peso sostenibile, ineludibile di quel “cerchio “, non solo ha significato privare miliardi e milioni di umani nel mondo e dalle nostre parti del beneficio salvifico della cultura sportiva, ma ha creato disparità, fossati, incomprensioni e strappi, laddove sarebbe potuto avvenire il contrario, come dimostrato storicamente dalla operazione “ping pong” iniziata negli anni settanta tra USA e Cina, filosofia adottata da Samaranch per sanare le defezioni olimpiche da Guerra Fredda a Mosca e Los Angeles, negli anni ottanta e lo scorso anno dal riavvicinamento tra Corea del Nord e del Sud, giusto in occasione di Giochi Invernali di PyeongChang.
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