Di Ruggero Alcanterini
CESARE BATTISTI – Provate a fare una ricerca sul personaggio storico Cesare Battisti, l’irredentista trentino divenuto elemento catalizzatore del tricolore, simbolo e martire di un terribile conflitto, quello della Prima Guerra Mondiale e in particolare di colui che rivendicava, a rischio della propria vita, l’appartenenza italica di territori compromessi nei confini, ma non nell’anima e avrete fatica a districarvi tra notizie di cronaca nera riguardanti un suo omonimo pluriomicida . Si può dire che lui Cesare, morto giustiziato da Ufficiale Italiano degli Alpini , giornalista di fede socialista, celebrato nostro eroe tal quale Enrico Toti, era stato confinato nella parziale obsolescenza dal caso di omonimia, che vedeva da anni celebrata la latitanza di un altro Cesare Battisti, condannato contumace all’ergastolo, dichiarato colpevole di quattro uccisioni a scopo di rapina. Sono certo che il Battisti criminale, catturato ieri in Colombia, non mancherà di far parlare ancora di se, ma penso che comunque, allo tsunami mediatico enfatizzato, anche per le ragioni politiche italo brasiliane, alla informazione che inesorabilmente continuerà ad associare il nome di Cesare Battisti ad un esponente della criminalità tristemente emersa dagli anni di piombo, sempre del secolo scorso, vada data compensazione agiografica con una non richiesta, ma importante e doverosa incursione nella storia travagliata del primo Novecento, quando la fulgida figura dell’eroe intellettuale Cesare Battisti, fondatore dell’Avvenire , dell’Avvenire del Lavoratore, di Tridentum e de Il Popolo, si associava a quella di Edmondo De Amicis e Gaetano Salvemini. Purtroppo, credo si sia costretti a fare in questo caso, della vera e propria paradossale controinformazione, una azione riparatrice della memoria di colui che il caso o se volete il destino cinico e baro ha trasformato in vittima mediatica di banale omonimia , ma anche di ordinaria indifferenza rispetto ai sacrosanti valori della storia patria.
Cesare Battisti , ricordato ne La canzone del Piave con Nazario Sauro e Guglielmo Oberdan, durante il processo, che lo avrebbe portato alla condanna capitale da parte del tribunale austriaco, fece mettere a verbale : «Ammetto inoltre di aver svolto, sia anteriormente che posteriormente allo scoppio della guerra con l’Italia, in tutti i modi – a voce, in iscritto, con stampati – la più intensa propaganda per la causa d’Italia e per l’annessione a quest’ultima dei territori italiani dell’Austria; ammetto d’essermi arruolato come volontario nell’esercito italiano, di esservi stato nominato sottotenente e tenente, di aver combattuto contro l’Austria e d’essere stato fatto prigioniero con le armi alla mano. In particolare ammetto di avere scritto e dato alle stampe tutti gli articoli di giornale e gli opuscoli inseriti negli atti di questo tribunale al N. 13 ed esibitimi, come pure di aver tenuto i discorsi di propaganda ivi menzionati. Sottolineo che ho agito perseguendo il mio ideale politico legato all’indipendenza delle province italiane dell’Austria e alla loro unione al Regno d’Italia.»
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