Nel processo Marina Bis che si sta svolgendo a Padova spunta un carteggio risalente al 1969, classificato come riservatissimo. Nel documento c’è la conferma: gli operai morivano di amianto. E più di qualcuno, tra gli alti vertici militari italiani di allora, lo sapeva. E ora trema.
La testata online www.osservatoriodiritti.it, dopo inchiostroverde.it, ha deciso di riprendere in mano questo carteggio, con lo scopo di riuscire a fare luce sull’accaduto. Il Notiziario Amianto ripropone l’articolo con qualche aggiunta.
Silenzi eccellenti «Una storia di ritardi nella messa al bando del minerale e per chi attende giustizia», la definisce l’avvocato Ezio Bonanni, presidente dell’Osservatorio Nazionale Amianto (ONA), parte civile nel processo che si sta svolgendo davanti al tribunale di Padova nei confronti di quattordici ex alti ufficiali della Marina militare italiana. Ex capi di stato maggiore come Filippo Ruggiero, Umberto Guarnieri e Guido Venturoni; ex comandanti in capo della squadra navale come Mario Porta; un ufficiale medico, Rodolfo Stornelli, medaglia d’oro al merito della Repubblica Italiana per la Salute Pubblica. Sono tutti accusati, a diverso titolo: « Di aver omesso al personale appartenente alla Marina dei rischi per la salute insiti negli ambienti di vita e di lavoro, a causa della presenza di amianto, tanto all’interno degli Arsenali, quanto all’interno delle navi militari».
Non solo Marina Bis, ma anche Marina Ter, altra indagine in corso presso la Procura di Padova.
L’Osservatorio Nazionale Amianto ha costituito uno specifico dipartimento per la tutela del personale civile e militare, esposti e vittime dell’amianto, che ha portato, con l’applicativo internet (Registro Patologie Asbesto Correlate di ONA ONLUS) al censimento di 621 casi di mesotelioma (pag. 121 I° Rapporto Mesoteliomi), di cui almeno 350 tra coloro che hanno prestato servizio in Marina Militare dal 1995 al 2011 e pari al 4,1% di tutti i casi di mesotelioma censiti e con un impressionante aumento negli ultimi anni, che per la sola Marina Militare ha portato, l’Osservatorio Nazionale Amianto a censire nel periodo dal 1995/2016 circa 500 casi di mesotelioma solo tra coloro che hanno prestato servizio in Marina Militare.
L’Osservatorio Nazionale Amianto stima quindi un’incidenza di circa 2000 casi di patologie asbesto correlate ad esito infausto nel periodo dal 1995 al 2016, tenendo presente che i mesoteliomi sono solo la punta dell’iceberg, perché l’amianto provoca anche cancro polmonare, alla laringe, alla faringe, al fegato, al colon retto, alle ovaie e anche asbestosi e complicazioni cardiocircolatorie.
«Insistiamo perché ci sia una presa d’atto da parte della Marina Militare che porti all’immediato riconoscimento della qualità di vittime del dovere di tutti questi lavoratori che sono morti per l’amianto, e che hanno quindi diritto ad avere la dignità di riconoscimento di vittime e per i familiari di avere ciò che permetta loro una vita dignitosa, già peraltro sconvolta da lutti e tragedie» dichiara l’Avv. Ezio Bonanni, presidente Osservatorio Nazionale Amianto.
È il procedimento Marina Bis, il cui dibattimento è cominciato il 25 maggio del 2015. Secondo il magistrato che rappresenta l’accusa al processo, Sergio Dini: « Gli alti ufficiali non avrebbero informato gli operai dei rischi che correvano, a causa delle polveri che respiravano, e dei materiali contenenti amianto che indossavano, guanti, tute, etc.». Non soltanto. Sempre secondo il pubblico ministero: « Avrebbero omesso di sottoporre con regolarità i dipendenti della Marina militare a controlli sanitari specifici; e di adottare misure almeno per ridurre, secondo le possibilità della tecnica, il diffondersi delle polveri contenenti amianto». Le accuse formulate dalla procura di Padova, perciò, sono gravissime: omicidio colposo, lesioni personali colpose e cooperazione nel delitto colposo.
Il carteggio riservatissimo Nelle ultime ore, tra le migliaia di pagine di carte processuali, è spuntata la pistola fumante. La prova che i vertici della Marina sapevano (sin dalla fine degli anni’60) dei pericoli che correvano gli operai, è nel “carteggio riservatissimo”, una corrispondenza tra gli alti vertici della marina ed alcuni scienziati dell’epoca. Il documento porta la data del 30 dicembre 1969, ma è saltato fuori soltanto ora, quando è stato depositato agli atti del processo di Padova da Ezio Bonanni, Presidente dell’Osservatorio Nazionale Amianto e legale difensore di decine tra ex militari e familiari di persone decedute. Come spiega lo stesso avvocato ad osservatorio diritti: « Un documento della Direzione di Sanità della Marina Militare che risale al 1969, risultato di una indagine epidemiologica, dimostra che su un campione di 269 operai che lavoravano allora presso l’Arsenale di Taranto, il 10% era affetto da mesotelioma o asbestosi; un altro 16% presentava sintomi sospetti» e che le persone per cui la diagnosi non fosse certa, e tutti gli altri, hanno continuato a lavorare in esposizione ad amianto. Non solo. «Le carte dimostrano che il rischio era conosciuto ben prima, tanto è vero che l’asbestosi è riconosciuta dalla L. 455/43, come dimostra la premessa della proposta di legge: un’epidemia già in corso nei primi anni ’40 in tutta Italia e quindi a maggior ragione la Marina Militare avrebbe dovuto utilizzare materiali sostitutivi dell’amianto. Quindi nel processo penale di Padova, oltre a questi documenti che dimostrano che la Marina era a conoscenza della pericolosità dell’amianto ben ventidue anni prima della sua messa a bando, avvenuto nel 1992, che questa strage era non solo prevedibile ma anche evitabile e che il primo colpevole era lo Stato che non ha rispettato le sue stesse leggi, ed è per questo che c’è una precisa responsabilità e dunque un obbligo di risarcimento dei danni» queste sono le ragioni sostenute dall’Avv. Ezio Bonanni, non solo in sede penale, ma anche in sede civile.
Infatti l’ONA ha promosso già decine di cause civili per il risarcimento dei danni subiti dalle vittime e ha costituito uno speciale dipartimento di assistenza medica e legale e sta censendo tutte le vittime.
Quei dati da non divulgare È il silenzio a definire i contorni di questa storia.
Sin dalla fine degli anni’ 60, se leggiamo la parte del carteggio in cui il dottor Luigi Ambrosi, direttore della Cattedra di medicina del lavoro dell’Università di Bari, chiede alla direzione della marina militare: « di poter condurre uno studio scientifico a carattere epidemiologico – statistico ed ambientale sull’Arsenale di Taranto». Preoccupandosi di precisare: « Il carattere squisitamente scientifico di tali indagini, i cui risultati sarebbero rimasti a disposizione esclusivamente della Direzione di Sanità militare, e non sarebbero stati forniti ad alcun ente, organizzazione politica o sindacale, estraneo alla Marina ». Quando poi i primi risultati vennero fuori, e si capì anche la gravità della situazione sanitaria tra i lavoratori, la reazione dei vertici militari fu questa: «E’ in corso, in collaborazione con la sala medica, un’azione intesa ad allontanare dal posto di lavoro gli elementi più colpiti, un’ azione che dovrà essere opportunamente differita nel tempo per evitare allarmi eccessivi ed ingiustificati». Questo si legge in un altro documento classificato come riservatissimo. Nella lettera del 14 febbraio del 1970 scritta dal generale Mario Ingravallo, allora direttore dell’Arsenale di Taranto, e indirizzata a Navalcostarmi, la Direzione Generale delle Costruzioni, delle Armi e degli Armamenti Navali, ente alle dirette dipendenze dello Stato Maggiore del Ministero della Difesa. Anche questo carteggio è finito agli atti del processo di Padova, insieme alla conferma che non erano solo i vertici della Marina a sapere; ma, si legge ancora nella lettera:« Si fa presente che il problema è attualmente noto alle organizzazioni sindacali, che ne sono al corrente attraverso le visite mediche effettuate agli operai ».
L’indagine parlamentare Nel maggio 2016, la Commissione parlamentare di inchiesta sugli effetti dell’utilizzo dell’uranio impoverito (incaricata di indagare sui casi di gravi malattie del personale impiegato nei siti in cui sono depositati munizionamenti) è stata all’Arsenale di Taranto, effettuando un sopralluogo. « Per poter acquisire un quadro aggiornato delle condizioni di lavoro dei dipendenti della Difesa impiegati sul posto, ma anche per svolgere una serie di audizioni con i diversi soggetti interessati sul tema della sicurezza nei luoghi di lavoro ». Come ha spiegato la parlamentare Donatella Duranti, vice – presidente della Commissione: « L’Arsenale è un ambiente condizionato da una molteplicità di fattori patogeni. Ed proprio sulla non invidiabile specificità di questo luogo, che la commissione di inchiesta è stata chiamata ad indagare ». A quella visita, poi, si sono aggiunte diverse audizioni. La Commissione ha sentito le parti sociali e i vertici militari di oggi.
Lo sportello on line dell’ONA è lo strumento attraverso il quale tutti i cittadini possono segnalare i casi di patologie asbesto correlate e chiedere assistenza medica e legale e quindi anche il personale civile e militare della Marina Militare Italiana. L’ONA ha già chiesto al Sindaco di Taranto la istituzione di uno sportello amianto proprio per far fronte all’epidemia di patologie asbesto correlate, che colpisce in modo particolare coloro che hanno lavorato nell’arsenale della Marina Militare.
Nel frattempo ci si può rivolgere all’ONA attraverso lo sportello on line, con richiesta da inoltrare per email all’indirizzo: osservatorioamianto@gmail.com