Nemmeno gli immaginifici per eccellenza come Julius, Gabriele ed Emilio avrebbero avuto l’ardimento di attentare alla sacralità del football, sia pure in modo virtuale. E invece, ci ha pensato la finanza creativa internazionale, che partendo dal presupposto del fair play è arrivata di conseguenza al foul play, mandando a carte quarantotto vecchi schemi e vecchi convenevoli del mondo del pallone, ma anche del sistema più complesso di una società civile, che da sempre vive nel comodo equivoco che lo sport sia quello che si vede dalle tribune, piuttosto che dai sofà. Per certi versi campi da gioco e televisori non sono altro che luoghi e strumenti attraverso i quali da decenni e decenni si consuma un rito sempre più dedicato al dio denaro e sempre meno a Giove Olimpico.
Questa storia della Super Lega del calcio internazionale potrebbe essere in realtà una benedizione, una occasione da sempre attesa per fare chiarezza, per separare il grano dal loglio e stabilire una volta per tutte che la pratica sportiva nei vari gradi di livello, dalla pura amatorialità all’agonismo più esasperato, nulla ha a che vedere con quello di cui hanno finito per parlare, divergendo, grandi imprenditori e grandi statisti.
Ma vi pare che Macron, Draghi, Johnson e compagnia cantando devono calarsi in prima persona nel cortile della rissa e dire la loro sui presunti valori dello sport, quando comunque stiamo dando soprattutto numeri e i coinvolti sono fior di professionisti della finanza, piuttosto che del gol?
Forse questa è proprio l’occasione per tornare a ragionare e magari ringraziare per una volta chi ha sparso il COVID per il mondo, dal pipistrello alla presunta provetta, perché mettendo in mutande chi sullo sport e sul tifo sportivo specula sempre più pesantemente, ha praticamente fatto saltare il coperchio dal pentolone.
Paradossalmente, anche il mondo olimpico – con la minimizzazione in essere dei Giochi di Tokio – ha mostrato il suo vero volto, quello che troppo tende all’apparire, lasciando sul lastrico chi organizza senza tutele appuntamenti divenuti insostenibili, ipertrofici, tanto quanto questo calcio dei grandissimi club, divenuto obeso senza possibilità di riparo, salvo approdare al mondo della fiction. In definitiva, che senso ha parlare ancora di colori e di bandiere di appartenenza, quando tutti i protagonisti sono cavalieri di ventura, pronti a passare da una parte all’altra!
Pensiamo piuttosto ad una riforma europea dello sport, quello praticato e per tutti, garantendone il diritto in modo inclusivo, posto che si è capito quanto faccia la differenza per la salute di una società civile che ambisce al benessere sociale senza esclusioni. Francamente, credo sia venuto il momento di muoversi in tal senso e senza tentennamenti o mezzi termini. Nel 1993, un manipolo di dirigenti illuminati, tra cui diversi italiani, catalani e danesi, riunito in quel di Parigi, avviò un processo da cui nacquero due nuovi organismi internazionali, l’ISCA (International Sport and Culture Association) e la CESS (Confederation Europeenne Sport Santé ). Proprio quest’ultima, assopita ma sempre valida come idea salvifica, adesso potrebbe ripartire da Bercellona, mentre cresce anche il nostro OIKOUMENE, il grande progetto del Comitato Nazionale IItaliano per il Fair play per la riconciliazione dell’area mediterranea, attraverso lo sport e fuori dai Palazzi intossicati da interessi incompatibili col merito e i bisogni.