Ecco, oggi, non posso che rivedere i fantasmi di due anni fa, quelli che, agitando la folla pentastellata in un comizio a Nettuno, mandarono per stracci l’ipotesi di candidatura per i Giochi Estivi del 2024 a Roma. Ieri, con un processo analogo, in un contesto diverso, è caduta l’ipotesi di una candidatura a tre, con Torino, per gli “Invernali” del 2026. Diciamo che è pienamente in atto l’involuzione, di cui ha parlato ieri Malagò, volato oggi a Losanna con una soluzione a due (Milano e Cortina). Penso che fino a quando non si troverà una seria quadratura sul tema sport per il nostro Paese, le incognite umorali di vario colore politico su questioni di grande impatto, come appunto l’organizzazione di una edizione dei Giochi Olimpici, rimarranno tali da non consigliare rischi da sovraesposizione in campo internazionale, soprattutto in un momento come questo. Come si suol dire: ”Chi vivrà, vedrà!”. Intanto, vi ripropongo sul tema un mio scritto di due anni fa, esattamente del 19 settembre 2016
LO SPORT USATO – Voglio solo dire che la consuetudine di usare lo sport è vecchia di duemilasettecento anni, posto che i Giochi Olimpici furono inventati con l’idea di farne una occasione di pace. Ora, la chiave moderna di approccio è al contrario quella di farne una occasione di guerra politica, culturale, economica, terroristica. Diciamo che sarebbe davvero preferibile la prima via, diciamo di un uso convenzionale del confronto agonistico, in un clima confacente agli umani per trovare il modo di stare insieme, superando divisioni altrimenti insormontabili. Gli attentati di queste ore a New York e in particolare al Seaside Park, nel New Jersey, per fortuna senza fare vittime, prima del passaggio di una corsa podistica con migliaia di partecipanti, la dice lunga sulle intenzioni degli attentatori, che hanno adottato una strategia comune a quella che funestò la maratona di Boston nel 2013, provocando tre morti e oltre 200 feriti. Ho già ricordato giorni fa che i precedenti di Berlino 1936, Città del Messico nel 1968, di Monaco nel 1972 e di Atlanta nel 1996 avevano sovvertito l’idea che i Giochi fossero preservati, ma al contrario usati come straordinaria cassa di risonanza, quindi con un uso davvero improprio dello sport. Certo, basterebbe fare riferimento alla violenza dentro e fuori degli stadi di calcio oggi, piuttosto che negli ippodromi duemila anni fa, per essere smentiti. Ieri sera, nel corso della Domenica Sportiva RAI, appunto durante i commenti dedicati principalmente a sua maestà il football, c’è stato un nuovo appello del Presidente Malagò a ragionare sulla candidatura olimpica per il 2024, spostando l’attenzione sul sistema Paese, piuttosto che su quello di Roma. In ogni caso, l’evolversi dei fatti capitolini, fa capire chiaramente che il SI o il NO hanno poco a che vedere con la situazione economica della Città, che avrebbe benefici strutturali e sociali. La Giunta attualmente continua ad essere comunque priva dell’Assessore al Bilancio e chi detta il veto “a prescindere” è sicuramente più esperto di spettacolo, che di conti o della materia sportiva nelle varie declinazioni. Credo che si faccia una confusione ridicola tra candidatura e organizzazione certa dei Giochi 2024, a fronte di Città e Paesi avversari, a cominciare da Parigi e la Francia motivatissimi e che non fanno sconti. L’Italia e Roma sono reduci da rinunce e bocciatura (2004) a partire dal 2000 e sicuramente questo atteggiamento confuso non ci fa bene, come è capitato a partire dall’inizio degli anni novanta, quando è partito l’assalto internazionale alla Diligenza Italia, con la dismissione di quasi tutto ciò che la faceva grande e la rendeva competitiva nel mondo, salvo San Pietro e il Colosseo, con qualche problema. Per tornare alla candidatura di Roma, o se ne fa una questione nazionale, in quanto Capitale rappresentativa della nostra dignità di Paese, oppure si ammaina la bandiera e si sceglie la via di una lunga agonia nel degrado irreversibile. Voglio ricordare, per concludere, che gli impianti ereditati dal Comune di Roma, dopo i XVII Giochi 1960, hanno avuto una situazione decorosa fintanto che sono stati gestiti dal CONI, salvo finire nel disastro una volta passate le consegne; che parte del Foro Italico , non di competenza del CONI Servizi, ma del Demanio e del Min. Beni Culturali avrebbe un serio bisogno di restauri, manutenzioni e tutela. Infine che anche le risorse umane per l’organizzazione sportiva, in carenza di un dicastero di competenza, avrebbe bisogno di rigenerare con le giuste motivazioni quei quadri straordinari che furono propri il risultato della organizzazione dei Giochi Olimpici a Roma cinquantasei anni fa.
Ruggero Alcanterini
Direttore responsabile de L’Eco del Litorale
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