Come si suol dire, la pazienza ha un limite e perderla, come non, può essere causa di irreparabilità. Una volta un avvocato, a caldo, fuori dal tribunale e in un momento di vento favorevole, mi disse: “Si ricordi che la ragione e la vittoria non sempre vanno d’accordo e spesso a prevalere sono i prepotenti.” Infatti, quella causa fu clamorosamente persa, nonostante ragioni da vendere, ma inutili. Ecco, quella di oggi è la rituale “World Ocean Day”, Giornata Mondiale degli Oceani, quelli che generano la metà dell’ossigeno necessario per la vita sulla Terra, il “sesto continente” in cui silenziosamente si vanno compiendo misfatti orribili, infiltrandone il blu di nequizie, sin nelle sue più recondite profondità. Il paradosso è che si agita lo spettro nucleare con la minaccia delle armi e il rischio delle centrali per l’energia, come deterrente a copertura della vera causa della rovina planetaria in atto, quella della difesa oltre ogni pudore dell’economia del petrolio, quella che ha impestato ogni cosa e che continua a rovinarci la vita nelle sue infinite indistruttibili declinazioni. Guerre e pause di provvisoria pacificazione continueranno a rendere utopico il diritto alla felicità, a generare sadismo e masochismo, come alternativa a quella normalità, cui dovremmo poter aspirare, se il buon senso prevalesse. Ma posto che quel che sopravanza sembra sia tutt’altro, che del destino ambientale i “potenti” se ne freghino, facendo rimbalzare di decade in decade l’attuazione dei salvifici ravvedimenti, anzi implementando la spirale dei disastri in modo geometrico, mi sento in dovere di recuperare quel concetto oraziano che con “carpe diem quam minimum credula postero” esprimeva e continua ad esprimere totale scetticismo circa la capacità umana di affrontare responsabilmente il futuro. Non si tratta di essere pessimisti e nemmeno emuli dei passeggeri del Titanic, ma semplici lucidi testimoni di una catarsi inesorabile, del naufragio globale negli oceani impestati dalle nequizie.