Il costante precipitare dalla normalità all’emergenza, l’echeggiare continuo dell’allarmi ha fatto sì che gli avvertimenti venissero minimizzati da estive prove tecniche di ritorno alla normalità, ad un presunto post di un Coronavirus, mai affrontato da vaccino e solo provocato da folcloriche o patetiche sfide scaramantiche, con ammucchiate “no mask” in spiaggia, al pub o allo struscio, salvo affollati distanziamenti su mezzi di trasporto e in coda per i tamponi. Adesso, senza il soccorso europeo impantanato e le casse prosciugate dal gogò dei bonus per la “prima ondata”, in attesa della stessa influenza di stagione, che non mancherà di fare confusione e danno, con la ricrescita dei contagi, si profilano provvedimenti esemplificativi del concetto di effimero, posto che si vagheggiano limiti per lo sport con contatto, convention pubbliche e feste in famiglia. Non uno generale, ma tanti possibili lockdown regionali o locali, con lo smart working, mai cessato, che torna in pista come alternativa alla paralisi generale del sistema. Ecco, tutto questo, mentre Trump se ne frega dal “balcone” della Casa Bianca e Kim Jong-un si bea del suo nuovo supermissile. Onestamente, pensare che si possa ovviare con una alzata di spalle al caos che si intravvede sull’orizzonte autunnale, dopo appena due settimane dal cambio di stagione, mi sembra un po’ eccessivo, ma per contro, penso si debba affrontare la straordinarietà di una emergenza annunciata e consolidata, algoritmica ma costante, almeno sino a nuovo avviso – vaccino o non vaccino – con l’idea di una normalità emergenziale e di un adattamento progettuale, innovativo, che ci consenta di non perdere il senso della concretezza e di non piangere più di tanto sull’effimero perduto. E allora, vogliamo ragionare di sport? Pensate davvero che dobbiamo continuare a stracciarci le vesti per i guai dei paperoni del football spettacolo o piuttosto affrontare seriamente il problema di far fare comunque attività fisica in sicurezza e correttezza a milioni di cittadini, senza distinzione di appartenenza, età, genere, abilità e censo? Stando comunque distanziati, possiamo chiudere il cerchio legislativo, organizzativo e trovare il modo di pianificare i presupposti della nostra rinascenza sportiva, Covid o non Covid, nella chiarezza di ruoli e competenze? Se non tutti i mali vengono per nuocere, questo potrebbe essere il momento di riconoscere seriamente vocazioni e competenze, assegnare compiti e mettere ordine, affinché la vera ripartenza si possa affrontare a pieno regime di giri. Naturalmente, questo concetto non vale solo per il mondo dello sport, che della vita più in generale è riconosciuta metafora, ma per tutto il resto che ci circonda e che spesso è sovrastrutturale, pleonastico, inutile, dannoso come le sostanze inquinanti che assediano la nostra società civile, dall’amianto, alle discariche, ai fuochi tossici che assediano i nostri territori, come lo stesso sistema, in tutte le sue articolazioni, minate da antiche calcificazioni e recenti traumi.
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