Per il 2771° anniversario della fondazione della Capitale, si sono conclusi tre giorni di celebrazioni con gruppi storici, rievocazioni e ingresso libero ai Musei Capitolini, in una concentrazione rievocativa tra il Colosseo, i Fori, il Circo Massimo e l’Arce del Campidoglio, eventi che hanno ridato finanche ruolo ai poveri Centurioni “abusivi”, che di quello vivono trecentosessantacinque giorni l’anno. Dai e dai i colori della festa, quelli giallorossi, che un tempo garrivano con bandiere e bandierine sin sulle aste dei filobus in occasione del mitico “ventuno aprile”, il Natale di Roma, si sono purtroppo offuscati. Anzi si sono addirittura anneriti e nel verde dei campi, quelli da gioco, continuano a splendere soltanto indosso a Radja Nainggolan e compagni. Ma perché questa nota di lutto, questo richiamo al clima di paura, che aleggia proprio quando e laddove con l’esplosione della primavera la natura si esalta e riverbera la sua gioia, con le sue policromie, negli innumerevoli parchi e giardini della Città Eterna? Ma perché non si può ignorare la cruda realtà, lo stato di abbandono, le rovine aggrovigliate, inestricabili tra alberi e cespugli, incancrenite tra cumuli di sporcizia, infarcite di insediamenti umani, frutto della indifferenza e della disperazione, da Villa Ada a Villa Borghese, da Castelfusano alle antiche dimore imperiali e ville patrizie, dalla Domus Aurea al Colle Oppio, dalle Terme di Caracalla alle ville Pamphili, Torlonia, Bonelli, dalle Mura Serviane e Aureliane, ai giardinetti di Piazza Indipendenza, a Castro Pretorio, a Piazza Vittorio, alle cornici arboree che delineano le consolari, alle periferie che sprofondano tra rovi, cannacce e succhioni degni delle aree pluviali, lungo l’asse del Tevere e della “ciclabile”, si aggirano ormai da anni anche gli “orchi”, che puntualmente manifestano le loro cruente vocazioni. Per questo, i romani si sono allontanati da quel bene prezioso, da quel verde che era unico ed esclusivo, da quello che era e dovrebbe continuare ad essere il loro privilegio, il segno distintivo dell’antica nobiltà imperiale. Ma d’altra parte, questo stato di cose, che denota una progressiva caduta verticale della operatività comunale e municipale del servizio giardini e della polizia urbana, arriva a rendere inselvatichite ed inquietanti le stesse pendici del Campidoglio. L’ultimo raccapricciante episodio, quello di Maria Cristina Olivi, rinvenuta carbonizzata da uno jogger tra le sterpaglie in quello che fu il Parco delle tre Fontane fa il paio con quello della donna rinvenuta a pezzi nella boscaglia di Porta Medaglia, sull’Ardeatina, giusto il giorno della Festa delle Donne, l’8 marzo del 2011. Soltanto chi ha la memoria corta non ricorda che nel 2007, nei pressi della Stazione di Tor di Quinto, Giovanna Reggiani, 47 anni, fu uccisa il 30 ottobre ,dopo essere stata violentata e massacrata sul calar della sera appena scesa dal Treno della Roma Nord. Lo stesso anno, Luigi Moriccioli, un ciclista che percorreva la “ciclabile” lungo il Tevere, giusto all’altezza di Tor di Valle, dove dovrebbe sorgere il “Mall” con Stadio, appunto della A.S.Roma, veniva aggredito, ferito gravemente e condannato a morte, dopo cinquanta giorni di agonia, nei pressi di uno dei tanti insediamenti clandestini, non ignoti ma ignorati, che tengono in ostaggio quel territorio. Ma sul percorso devastato e degradato della “ciclabile” – che è più un alibi che una vera vocazione sportiva per l’Amministrazione – perdeva poi la vita anche Marco Artiaco, all’altezza della Magliana , nell’ Ottobre 2016. Le aree di competenza per Roma Natura, a Monte Mario come all’Eur Laurentino, sono totalmente abbandonate con attrezzature e percorsi ormai andati in malora tra vandalismo e incendi, come sono nella esclusiva disponibilità di colonie di “zombi” le banchine del Tevere e in particolare del tratto prospicente l’Isola Tiberina e la Cloaca Massima, sotto i ponti Garibaldi, Cestio, Fabricio e Rotto, nella zona della “movida” notturna trasteverina, dove il diciannovenne atleta americano Beau Solomon morì affogato nel Fiume “boiaccia”, dopo essere stato rapinato e picchiato da un gruppo stanziale di balordi, accampato nella “cartonville” , che occupa da anni il greto. Eppoi, la violenza sulle donne e sui clochard ovunque. Basta ricordare per questo parte di quello che è accaduto negli ultimi due anni, a cominciare dall’8 settembre dello scorso anno, quando alle dieci del mattino, al Colle Oppio, una giovane turista americana ha subito un tentativo di stupro da uno sbandato ivoriano, quindi a Villa Borghese una cinquasettenne donna tedesca è stata violentata, picchiata , rapinata, lasciata legata ad un albero il 19 settembre , piuttosto che la trentacinquenne francese aggredita a calci e pugni da uno sbandato egiziano diciottenne, sempre al Colle Oppio tre mesi prima, mentre nell’ottobre del 2016 la vittima di turno era stata un’altra turista australiana, picchiata e violentata da un altro “borderline” quarantenne romeno. Il 24 agosto veniva sgomberato con la forza il Palazzo della Federconsorzi a ridosso della Stazione Termini, occupato abusivamente da anni con la presenza di centinaia e centinaia di clandestini e attività illegali, con il conseguente trasferimento di altro degrado tra le pieghe e le piaghe della Città. Il 13 settembre 2017, un mese davvero nero per la Capitale, dopo che una turista finlandese era stata violentata a Castro Pretorio, una ragazza belga veniva molestata da un israeliano addirittura sulla rampa michelangiolesca del Campidoglio. Ma non era finita: il 24 novembre Norma Maria, quarantenne brasiliana che aveva eletto a sua dimora il sottopasso di Porta Pia a Piazza della Croce Rossa, veniva brutalmente uccisa dopo aver denunciato le precedenti violenze e lo stupro subiti. E nel 2018 ? Giusto il 20 aprile, alla vigilia del Natale romano, è stato rinvenuto il corpo carbonizzato della Olivi alle Tre Fontane, ma prima, a febbraio, c’è stato l’episodio dello stupro all’Esquilino, in Piazza Vittorio, di un’altra clochard settantacinquenne, tedesca, preceduto dal rinvenimento del cadavere di un sessantottenne cingalese, ucciso dentro l’infermeria di quel che rimane dello Stadio Flaminio, gioiello firmato prima da Piacentini e poi da Nervi, spogliato, sfregiato e vilipeso, abbandonato sommerso da erbacce e rifiuti, pur essendo una delle memorie fondamentali della Roma Olimpica 1960 e della Roma Sportiva dal 1911 al 2013, quando il paradossale disinteresse del Comune di Roma lo ha incredibilmente consegnato al degrado e ad un orribile cambio di ruolo, dalla cronaca sportiva a quella nera … Se avrete avuto lo pazienza e lo stomaco di compiere con me questo nauseante escursus tra lo schifo che ci assedia e in cui siamo costretti a vivere, giungerete come me alla conclusione che stiamo vivendo una doppia realtà, di cui una fatta di quotidiana ordinaria routine che ignora obtorto collo l’altra fatta di quotidiana straordinaria emergenza , ma che riemerge come un fiume carsico, che riappare come il fantasma di mezzanotte ogni qual volta il disagio si trasforma in crimine, magari abnorme, eclatante, come nel caso degli spaventosi incendi dolosi della Pineta di Castel Fusano. Pezzo pezzo, giorno dopo giorno la qualità della nostra vita va in malora e noi continuiamo a pazientare e – mi chiedo fino a quando – a credere alle favole, a dare deleghe per progetti senza capo ne coda e ad enfatizzare autorità di governo locali e nazionali improbabili e inadeguate a prescindere, continuando a rifiutare l’idea che stavamo molto meglio, anche nell’immediato dopoguerra, quando pensavamo di stare molto peggio.
Ruggero Alcanterini
Direttore responsabile de L’Eco del Litorale
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