Di Ruggero Alcanterini
GUARDIE E LADRI – E’ stato più forte di me, immediato diretto il pensiero, il ricordo di quel film di Monicelli del 1951, protagonisti due assi del neorealismo e della comicità, come Totò nella sofferente veste del ladro e Fabrizi nella corpulenta e impacciata divisa della guardia. Un flash back tra il melanconico e il divertito. Io avevo dieci anni e per me “guardie e ladri” era anche un gioco, tal quale i “quattro cantoni” o non a caso … “ruba bandiera”. All’epoca, quel film suscitò la reazione della Commissione di Censura, che lo bloccò per almeno un anno, sul punto che dichiarava non ammissibile che un uomo delle istituzioni (il maresciallo dei carabinieri, Aldo Fabrizi) avesse alla fine un contatto umano, uno scambio privato con un ladro di professione (il mariuolo Antonio de Curtis, in arte Totò). Allora ne venne fuori un caso nazionale, che coinvolse il giudizio in ultima istanza dello steso Giulio Andreotti, fatto che puntualmente si sta ripetendo, sessantotto anni dopo, per un episodio reale, a parti invertite, posto che addirittura il Ministro dell’Interno è divenuto motivo di scandalo, per aver manifestato solidarietà ad un derubato condannato nella veste abusata di guardia, piuttosto che ad un ladro, nella veste giudicata di vittima, meritevole di un risarcimento record, tale da far impallidire quelli concessi ai riabilitati dopo gravi errori giudiziari, usciti irrimediabilmente rovinati dal carcere dopo decenni d’ingiusta detenzione. Ecco, dunque, qualcosa che non quadra, anche a fronte delle sentenze che si devono pur rispettare, ma che non si possono ignorare, nel merito, nel bene e nel male. Ecco, dunque, l’occasione del paradosso che dovrebbe far riflettere legislatori e giudici, piuttosto che i ladri e le guardie “fai da te”, comunque destinati a controversie dubbie in un sistema che non funziona esattamente a tutela e garanzia della parte virtuosa della collettività. Per concludere, potremmo prendere ulteriore spunto da una delle più celebrate storie di “guardie ladri”, ovvero quella della sfida tra Eliot Ness ed Al Capone, il più grande tra i gangster, tanto cinico e perverso nel crimine, quanto raffinato e spregiudicato nell’eludere la giustizia: alla fine, soltanto combattendo ad armi pari, meno garantiste, la superguardia ebbe ragione del superladro, in quel di Chicago, negli anni trenta del secolo scorso.
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