Cari amici, ci risiamo, tira aria di elezioni, arrivano le sentenze, le commissioni d’inchiesta parlamentari, si ruminano i disastri creati dall’inadeguatezza degli amministratori e dall’improvvisazione di parlamentari e partiti, dalla cinica protervia di regole comunitarie e dall’implacabile concorrenza dei partner europei, dalla vocazione corsara delle tribù libiche e dal sistema pietrificante della nostra burocrazia. Da sempre sostengo che quando la cura è peggiore del male diventa una forma perversa di eutanasia. Tira davvero una brutta aria per chi governa e chi si oppone, ma soprattutto per i cittadini che, di fronte al baratro, dovranno decidere se votare per non so chi e per cosa o andare al mare, lasciando la loro sorte futura nelle mani di un punto interrogativo. Francamente, dubitavo che la lezione terribile inflittaci dalla iattura di tangentopoli/mani pulite, con la eradicazione dei partiti storici, fosse servita a dare responsabilità e coraggio a chi istituzionalmente ha la facoltà di decidere, prima ancora che il consenso nelle urne. Adesso, ho la stessa sensazione provata all’annuncio del ritorno della malaria: per il Paese, in ginocchio per calamità naturali e artificiali, ci vuole tutto meno che un accanimento terapeutico, tale da stroncarlo sotto la tenda ad ossigeno.
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