– Non c’è dubbio che ogni risultato ottenuto abbia comportato a monte un duro impegno, un lavoro straordinario, sacrifici, investimenti, scelte coraggiose. Intendo naturalmente degli ori conquistati a Rio e non solo. Intendo che la facilità con cui uno come Bolt corre i duecento metri in 19.78, addirittura scherzando, non deve trarre in inganno, perché questo è in sintesi il risultato del sudore di generazioni di afrocaraibici. Intendo che la densità con cui ormai i rappresentanti diretti o indiretti degli oppressi occupano il podio olimpico è palesemente inversamente proporzionale al ruolo che recitano nel governo planetario, a cominciare proprio dallo sport. Con i Giochi di Rio, a seguire, dopo i gravi malesseri di FIFA, UEFA e IAAF, il “Doping Gate” , adesso traligna l’ipotesi del traffico internazionale di biglietti d’ingresso. Al riguardo, in attesa di chiarimenti ufficiali, mi sembra opportuno dire che la speculazione era quanto meno sbagliata, considerati i vuoti nelle tribune olimpiche, equivalenti a quelli ormai abituali per il football: visto che ormai gli spettatori sono mediatici, bisognerà immaginare stadi supertecnologici e con piccole tribune per il pubblico. Ma a questo punto, che senso ha andare in giro per i continenti con la gioiosa macchina olimpica? Il CIO, detentore del preziosissimo brand “archimedeo” dei cinque cerchi, il vero tesoro super prezioso dello sport, potrebbe scegliere una postazione fissa, che so magari a Losanna – dov’è la sua sede istituzionale – o ad Atene, tanto per restituire ai poveri greci quello che era loro e risanare il vulnus creato con i Giochi “riparatori” del 2004, dopo lo scippo della Coca Cola ad Atlanta nel 1996. Ma qui voglio aprire un altro argomento assolutamente collegato, intendo quello della crisi epocale dell’area afroasiatica, delle guerre, dei massacri, degli sconvolgimenti e stravolgimenti di intere etnie, di culture, di paesi che ormai riversano costantemente il loro tributo di lacrime, sangue e sudore, se non la vita, ai cinici principi che governano il mondo, ormai super globalizzato: mentre siamo di fronte a migrazioni bibliche, sempre in tv, seguiamo le gesta dei nostri eroi agonisti, commuovendoci per l’omerica gara “fair play” di Nikki Hamblin e Abbey D’Agostino o ci perdiamo dietro la stucchevole questione del burkini, arriva una proposta davvero sensata e che parte del nostro capo del dipartimento immigrazione, Mario Morcone, ovvero quello di dare dignità ai profughi, non clandestini, richiedenti asilo, attraverso lavori utili per la collettività che li accoglie. Credo che questa possa essere la giusta via per contenere i costi morali e sociali di una situazione diversamente insostenibile e destinata alla deflagrazione. Non bisogna esitare, altrimenti ci terremo il doppio disastro di una società e di un territorio degradati, senza via di scampo, nell’attesa del mitico Godot…