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L’ITALIA TREMA

1 SETTEMBRE 2019
– La scorsa notte, ancora un sussulto, dal Lazio alle Marche, passando per l’Umbria, epicentro ottomila metri sotto Norcia. Puntualmente ci troviamo di fronte alla dimostrazione della fragilità e della vulnerabilità dell’Italico Stivale. Purtroppo, la terra che abitiamo – il Bel Paese – è geologicamente molto giovane, frutto del contrasto tra placche continentali, quindi ad altissimo rischio sismico, secondo soltanto alla Grecia, in Europa. Questo comporterebbe ben altro atteggiamento di governo, diciamo il coraggio di sovvertire l’ordine delle priorità di programma e di spesa, tenendo conto dei dati oggettivi, storici, che ci impongono scelte obbligate e immediate, posto che sinora averle disattese ha comportato una serie innumerevole di tragedie e di danni, cui abbiamo sistematicamente tentato di porre riparo, piangendo lacrime amare sulle rovine irreparabili fatte di vite spezzate, realtà sociali distrutte, arte e storia buttate in discarica. Eppure, non ci mancano gli uomini di scienza e coscienza in grado di curare la strategia della prevenzione su basi valutative serie, ma diversamente posti ai margini delle scelte e dei provvedimenti, inascoltati e precari. Eppure basterebbe fare leva sulla memoria, sulla storia drammatica della sismicità in Italia, per capire che il problema non è mai stato contingente nel tempo e nello spazio, ma sistemico e ricorrente, ancorché ampio e dirompente, sino a coprire l’intero territorio nazionale, salvo la Sardegna, che risulta stabile da ben sette milioni di anni, esclusa dalla linea di frattura tra Africa ed Europa-Asia, che diversamente percorre tutto lo Stivale , dalla Sicilia al Friuli. I terremoti originati dalle dorsali appenninica e alpina, oltre che dall’attività vulcanica, hanno quindi caratterizzato la nostra storia e se ne hanno notizie sin dal 217 a.C. (Etruria), 174 a.C. (Sabina) 100 a.C. (Picenum) 99 a.C. (Norcia) … Volendo fare riferimento alla orribile attualità di questi giorni, possiamo ricordare anche il sisma d Rieti nel 76 a.C. o quello di Teate nel 68 a.C.. Sorvolando su tutti gli altri cataclismi in giro per l’Italico Stivale, compresa la famosa super catastrofe di area vesuviana del 79 d.C ( preceduta da un episodio del 72, che vide il crollo del Teatro a Neapolis ) che cancellò, anche con il gas e la lava, Pompei, Stabiae ed Ercolano, passando per il secondo terremoto di Benevento nel 379, che fece migliaia di vittime, arriviamo a due inquietanti episodi riguardanti Roma, nel 442 e 476 , quando la Città riportò gravi distruzioni che non mancarono di danneggiare la Colonna Traiana, il Teatro di Pompeo, la Basilica di San Paolo e lo stesso Colosseo, che tornò a sbriciolarsi nell’847, mentre due anni dopo cadde anche l’obelisco attualmente in piazza Montecitorio. Nel 1349, un evento riguardante l’area appenninica, da Perugia a Benevento, coinvolse Roma al punto di far crollare anche parte della Torre delle Milizie e di nuovo l’Anfiteatro Flavio. Nel 1351, Petrarca affermava di aver trovato Roma in un grave stato di prostrazione, proprio a seguito di quel sisma. Nel 1438 tornò a farsi sentire il Vulcano Laziale che, con un potente sussulto, mise a soqquadro i Castelli e parte della stessa antica Capitale. La cosa che colpisce è il ricorrere di catastrofi sismiche nel beneventano: nel 1456 vi avvenne il big bang del secondo millennio che, con circa trentamila vittime, coinvolse un’area vastissima, dal Sannio, al Matese, al Molise, all’Irpinia, all’Abruzzo, a Napoli. Poi, nel 1703, fu la volta del grande terremoto che colpì e distrusse una prima volta la stessa Amatrice, con oltre quaranta repliche su Roma. Un ulteriore crollo, dopo un ennesimo sisma nel 1806, indusse Papa Pio VII a far costruire lo sperone laterizio di sostegno sul terzo anello del più grande anfiteatro del mondo antico con interventi salvifici firmati da Stern, Valadier e Canina. Le tracce, le cicatrici di tutti questi eventi naturali violenti, che hanno minacciato Roma, sono tuttora visibili negli strati archeologici e sui monumenti della Città: in modo impressionante negli scavi sotto Palazzo Valentini, Palazzo Spada ed altrove. Questo anche per smentire chi, facendosi forte della teoria “Pneumatica” di Aristotele, pensa che Roma sia stata finora protetta dalle sue cavità sotterrane, dai tufi e dagli insabbiamenti golenali del Tevere, oltre che dagli Dei e da Dio. Diciamo allora che, se annoveriamo come Santo protettore dai terremoti, il Vescovo Emidio, che sembra riuscì a preservare Ascoli Piceno proprio dalla catastrofe del 1703, come esempio adamantino, a breve e futura memoria, per le scelte da farsi su ricostruzione e prevenzione, non possiamo che citare Araldo di Crollalanza, Ministro dei Lavori Pubblici, precettato da Mussolini per intervenire dopo il terremoto del Vulture (Potenza, Matera, Benevento, Avellino e Foggia) nel 1930, passato alla storia non solo per aver dato a Bari le strutture urbanistiche di cui ancora gode, compresa la Fiera del Levante, piuttosto che la cura della Bonifica Pontina, la costruzione di Città di fondazione come Littoria (Pomezia) ed Aprilia, ma soprattutto per aver affrontato e risolto con straordinaria determinazione, capacità ed onestà, una situazione impossibile. *** “Araldo di Crollalanza non si allontanò mai dalla zona sinistrata, adattandosi a dormire in una vettura del treno speciale che si spostava, con il relativo ufficio tecnico, da una stazione all’altra per seguire direttamente le opere di ricostruzione. A soli tre mesi dal catastrofico sisma, e precisamente il 28 ottobre 1930, le prime case vennero consegnate alle popolazioni della Campania, della Lucania e della Puglia. Furono costruite 3.746 case e riparate 5.190 abitazioni. Mussolini salutò il suo Ministro dei Lavori Pubblici al termine della sua opera con queste parole: Eccellenza di Crollalanza, lo Stato italiano La ringrazia non per aver ricostruito in pochi mesi perché era Suo preciso dovere, ma la ringrazia per aver fatto risparmiare all’erario 500 mila lire. L’intervento complessivo, difatti era venuto anche a costare meno del previsto e quindi Araldo di Crollalanza restituì il resto dei soldi non spesi. Nonostante il breve tempo impiegato nel costruirle e nonostante i mezzi tecnologici relativamente antiquati di cui poteva disporre l’Italia del 1930, le palazzine edificate in questo periodo resistettero ad un altro importante terremoto che colpì la stessa area 50 anni dopo.”
Ruggero Alcanterini

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