– Spero che qualcuno stia pensando seriamente a come arginare l’emergenza e pensare razionalmente, a progettare una soluzione sostenibile del fenomeno “migrazione”, che investe il nostro Paese non tanto e non solo per la quantità, ma per la peculiarità dei soggetti coinvolti, prevalentemente africani e non minacciati dalla guerra, ma da una condizione sociale infima. E’ ovvio che, chi fugge dal degrado non accetta di continuare a viverlo ed è disposto a tutto pur uscirne. Viaggiando in lungo e in largo per l’Italia, ci possiamo rendere conto di come la stagione turistica si sia allargata a dismisura per strutture del ricettivo, che mai avrebbero potuto andare oltre il breve periodo estivo e che molte altre abbandonate o vuote, ex militari, industriali, scolastiche, magari negate per ospitare attività socioculturali del territorio, siano state rese invece disponibili – senza se e senza ma – per decreto prefettizio. Come si dice, necessità fa virtù, ma è chiaro che esiste un limite oltre il quale non è possibile andare, salvo generare una catastrofe sociosanitaria, cosa della quale si annunciano le premesse. Cosa dire dei lavori socialmente utili su base volontaria per gli immigrati? L’idea non farebbe una piega se si trattasse di una cosa seria, regolamentata, tutelata e non lesiva di diritti propri e altrui. Infine, rimarrebbe la cosa più ovvia, ovvero la sacrosanta opzione dissuasiva nei confronti della filiera di mercanti di umani, che recluta i migranti nei paesi di origine, li trasferisce sulle coste africane e li imbarca per farceli salvare in mezzo al Mediterraneo, Oppure? Oppure non ci resta che farcene una ragione e trasformare le strutture di prima e seconda accoglienza in grandi centri di promozione culturale sportiva, impegnando italiani a rischio di obesità e migranti che soffrono soprattutto d’inedia, favorendo l’integrazione, salvo produrre nell’arco di anni e di generazioni nuove opportunità, anche per lo sport italiano di livello nazionale, internazionale ed olimpico, come di fatto sta già avvenendo. Certo che non sarebbe una soluzione di fondo, ma potrebbe essere un bel fiocco da porre alla nostra bandiera , posto che il fenomeno in atto assume sempre di più il profilo di “epocale”, se non definitivo, per un mondo che nella globalizzazione ripone le sue speranze, ma vede intanto materializzarsi incubi.