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L’Italia aiuta il Marocco ad accorciare le distanze della cura con il progetto sanitario Mama Sofia

Tracciare i pazienti cronici sul territorio con braccialetti elettronici, migliorare l’accesso alle cure per chi vive in aree remote, ottimizzare la spesa sanitaria: sono questi solo alcuni degli obiettivi che si propone in Marocco “Mama Sofia accorcia le distanze della cura”, ambizioso progetto di telemedicina promosso dalla fondazione di Zakia Seddiki Attanasio e dedicato alla memoria del marito ed ex ambasciatore d’Italia ucciso nel 2021 nella Repubblica democratica del Congo. Il progetto pilota ha ottenuto il patrocinio del ministero degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale ed è stato inserito nel Piano Mattei per l’Africa e vede la stretta partecipazione di istituzioni, imprese e società civile, “come voleva Luca”, sottolinea Zakia. Nelle intenzioni di Rabat l’iniziativa – sviluppata grazie alle competenze tecnologiche dei gruppi Dedalus e Vexavit – si svilupperà su dieci mesi, coinvolgendo 10 mila persone di diverse fasce, con un’attenzione ai pazienti pediatrici per i quali l’ospedale di Rabat collaborerà con l’istituto Gaslini di Genova, ritenuto un’eccellenza nel settore.

Si tratta di un progetto di telemedicina applicata ad un pilastro del settore sanitario, la prevenzione, che verrà finanziato principalmente da privati (le cifre in ballo variano tra i 2 e i 3 milioni di euro) e dovrebbe accelerare nei prossimi sei mesi, in linea con le tempistiche di sviluppo del fascicolo sanitario elettronico marocchino e del più ampio progetto di digitalizzazione sanitaria. Il desiderio da parte del governo di Rabat – ma anche di Roma – è di fare del progetto Mama Sofia un volano per il rafforzamento della cooperazione italiano-marocchina. Per il ministro della Salute e della Protezione sociale marocchino, Khalid Ait Taleb, “nel giro delle prossime due settimane” potrebbe essere finalizzata una bozza di accordo di cooperazione sanitaria fra i due Paesi che coinvolga “anche altri settori, da concordare”, e sui quali potrebbero confrontarsi già nei prossimi giorni lo stesso Taleb e l’omologo italiano, Orazio Schillaci, in occasione dell’assemblea dell’Organizzazione mondiale della Sanità (Oms) che si apre lunedì, 27 maggio, a Ginevra.

Il progetto, ha spiegato l’amministratore delegato del gruppo Dedalus Andrea Fiumicelli, si basa su tre pilastri tecnologici uniti alla responsabilità etica ed umana. Il primo prevede di misurare sui pazienti in tempo reale diversi parametri medici attraverso dei braccialetti elettronici. Progettati da Vexavit, i dispositivi avranno autonomia d’uso e permetteranno di trasmettere i dati ai centri di elaborazione. Il secondo, tocca proprio l’analisi delle informazioni raccolte, in modo da identificare dei “pattern” e formulare così degli eventuali “campanelli d’allarme” utili a prendere decisioni cliniche. Terzo, il progetto intende permettere al Marocco di integrare l’esito di questo monitoraggio all’interno di una piattaforma software, condivisibile con le strutture ospedaliere ed il personale in contatto con i pazienti. L’aspetto umano, quarto pilastro del progetto, è il “contenitore” fondamentale di tutta la strategia tecnologica, sottolinea Fiumicelli. Molteplici i casi d’uso. Si va dalla possibilità di agevolare “dimissioni protette” di casi clinici complessi, che secondo i tecnici sarà possibile anticipare attraverso la fornitura di device per il tracciamento, pratica utile a liberare posti letto e a non congestionare le strutture, alleviando inoltre la spesa sanitaria locale. Un secondo caso d’uso riguarda il monitoraggio dei pazienti cronici che vivono lontano dai centri di cura; un terzo la possibilità di facilitare la medicina multidisciplinare chiedendo un secondo parere medico, in questo caso coinvolgendo l’istituto pediatrico Gaslini di Genova. Infine, non irrilevante per i Paesi nei quali il progetto potrebbe essere applicato: come spiegato dallo stesso Fiumicelli ad “Agenzia Nova”, infatti, il progetto si vuole “replicabile e scalabile” in altre destinazioni dove ampie fasce di popolazione vivono in aree remote, lontano dai centri sanitari nei quali l’accesso alle cure è più immediato. Naturali candidati ad una replica dell’iniziativa sono diversi Paesi dell’Africa, tutti quelli dove aree desertiche separano i pazienti da un rapido accesso alle cure.
Fabrizio Gerolla

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