Se Ciccone fa rima con campione e se è lo stesso cognome che porta l’illustre star pop “Madonna” – con i nonni di Pacentro – non basterebbe nemmeno l’assonanza con l’altro storico scalatore abruzzese Taccone a farne emotivamente il protagonista di un giorno davvero complesso e complicato. Infatti, la nuova maglia gialla del Tour agguanta la scia dei campioni, che lo hanno preceduto proprio nella tappa principe, quella de La Planche des Belles Filles, con un boato di dislivello, quella in grado di liberare vibrazioni uniche dal Giro dei cugini francesi, di fartelo vincere, come capitò a Nibali cinque anni fa, diapason straordinario, quando il bianco, il rosso ed il verde cangiano in giallo. Ma provate a pensarci, un po’ come avvenne con Bartali nel luglio del ’48 il giorno dopo l’attentato a Togliatti, ieri Giulio Ciccone, ragazzo dalla faccia un po’ così, di quelle che non si dimenticano, falco sul Mortirolo, nell’ultimo Giro d’Italia, ma appena tre anni fa leone, vincitore di una sfida sul filo dell’impossibile con il suo cuore ribelle, ha polarizzato l’attenzione degli italiani tanto quanto e più della politica, dell’economia e della giustizia nelle sue sfumature tra il giallo, il rosa ed il nero. Ma chi se ne importa se il vertice a Palazzo Chigi sulle autonomie è saltato, mentre il Salone dell’Auto si trasferisce come i Giochi Olimpici da Torino a Milano, se Alitalia atterra nelle Autostrade, se il finanziamento dei partititi torna a passare per i rubli, piuttosto che per i dollari o gli euro, se nelle teutoniche tombe del Vaticano si riesuma il mistero e la Orlandi rimane nel nulla, perché la vera notizia è che l’Italia c’è ed è tornata in vetta con la forza dei reni e con il carattere immaginifico di un giovane indomito figlio d’Abruzzo, classe 1994, l’anno d’inizio del nostro calvario, chietino e professionista da appena tre anni, dunque rappresentante della new generation, la stessa degli “Erasmus”, che con quella dei “Millennial” in arrivo, rappresenta la via per un possibile diverso futuro.