Mi ritorna in mente la sigla di Canzonissima 1960, quello sciogli ugola che ci rendeva allegri in un momento speciale, olimpico. Quello destinato a cambiare drasticamente nel 1968 e nel 1970, dell’inizio degli “anni di piombo”, annunciatosi prima con l’attentato di Gioia Tauro e che poi si sarebbe inasprito con la crisi petrolifera, che ci avrebbe fatto tornare a terra tra contestazioni studentesche e sanguinoso terrorismo, senza sconti a sinistra, come a destra. La stella era soltanto una, con le solite cinque punte, ma non era quella dello sceriffo, né una delle cinque del marchio di una nota fabbrica di salumi. L’Italia della rinascenza olimpica, quella del miracolo economico, di cui festeggiamo in sordina il “sessantesimo”, sino al prossimo undici settembre, era ormai un blasone riconoscibile dall’ammodernamento delle infrastrutture ed affidato alla consapevole classe dei giovani intraprendenti, alla new generation che era germogliata con autentica voglia di fare nel Bel Paese. Provate a riflettere. Appena tredici anni dopo la ripartenza con la nuova Costituzione, l’Italia era stata in grado di sbalordire il mondo, proponendo una sua immagine straordinaria, ammantata della sua classica bellezza rifusa nella modernità e nella efficienza, era l’Italia rigenerata da uomini come Mattei, Olivetti ed Onesti, ma retta da un patto politico che, tra centro e sinistra, preludeva ad un sostanziale consolidamento della nostra capacità propositiva e di crescita, con il Made in Italy che volava. Forse, questa rincorsa così rapida, che dopo il disastro del secondo conflitto, da “perdenti”, ci sospingeva ai vertici economici e politici, ci posizionava di fatto tra i “vincenti” e non era accettata da chi ancora confidava nella rendita spartitoria del bottino di guerra, definito con i Trattati di Parigi, giusto nel 1947. Dunque, quel formidabile segnale, non soltanto simbolico, da noi dato con i XVII Giochi a Roma, viene adesso drammaticamente sottaciuto, se non ignorato, ai livelli romano e nazionale, per mere ragioni d’ignoranza e di parte, tant’è che COVID o non COVID non c’è in programma uno straccio di commemorazione/ricordo che sia degno di questo nome, anzi spira il vento di una demenziale “damnatio memoriae”. Del resto, per capire come stanno andando le nostre cose, basta affidarci alla moviola delle interferenze internazionali a suon di missili, bombe colpi di mitra, pistola, rapimenti e uccisioni, fino alla delegittimazione radicale dei partiti costituenti negli anni novanta. Tutti accadimenti che hanno progressivamente compromesso il naturale decorso della nostra vita e della nostra crescita economica e sociale, alla obnubilazione storico culturale. E’ occorso mezzo secolo per ridurci in questo stato comatoso, all’idea abborracciata che tutto si possa risolvere con il Si, piuttosto che con il NO, che il VOI dei nostri nonni possa essere sepolto dal TU senza distanziamento, al posto dell’algido LEI. Non si tratta soltanto di un giuoco di parole, ma di sostanziali messaggi d’orientamento opinionista ed è per questo, che non posso esimermi dall’aderire all’idea che questo sia il momento del NOI, senza se e senza ma, per difendere quel che resta del nostro passato futuro.
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