Non me ne vogliate, ma Il mio primo pensiero è stato per i cavalli, sì per quei meravigliosi destrieri di bronzo che i veneziani riportarono come bottino di guerra dalla vecchia collassata Costantinopoli nel 1206 e che sono ricoverati proprio all’interno della Basilica di San Marco, dopo aver galoppato attraverso due millenni, prima sulla torre dell’Ippodromo di Costatino I e poi al cospetto dei Dogi, sempre al di sopra delle onde, a bordo delle galee del Morosini. Venezia non è nuova alle abluzioni, che per lei sono da sempre un rituale ed un blasone, una difesa ed un vezzo a sublimazione della sua bellezza, ma … Certo, c’è un ma su cui riflettere, perché se occorsero 194 centimetri d’acqua, il 4 novembre del 1966, per produrre una legge speciale anti-catastrofe nel 1973 ed un progetto MOSE (Modulo Sperimentale Elettromeccanico) in elaborazione e realizzazione dal 1981 per il tramite del Magistrato delle Acque, sino ad un significativo concreto progresso realizzativo tra il 1988 e il 1992, poi tutto finì nel mefitico trapasso tra la prima e la seconda Repubblica. Ed eccoci, dunque al ma, ovvero, se occorsero undici anni, sino al 2003, per recuperare l’operatività e dare il via alla realizzazione delle paratie mobili di contenimento, da realizzarsi con comodo entro il 2016, perché adesso siamo costretti a piangere sul latte versato? La risposta ai ma ed anche ai se la troviamo nella separazione delle responsabilità, nel meccanismo orrendo e micidiale, autolesivo dello scaricabarile e della mentalità fatalistica, del retrogusto masochista con cui sfidiamo a volte l’impossibile. Lo stato dell’arte, da Venezia a Taranto, lungo tutto l’Italico Stivale dovrebbe consigliare un atteggiamento decisamente più determinato, realista, ovvero consapevole della fragile preziosità del nostro territorio, con tutto quello che vi insiste, compresa la popolazione che diversamente è ostaggio di bulemica burocrazia, non solo amministrativa, ma anche giudiziaria, di disinvolta economia, di improvvisazione politica. Paradossalmente il dilatarsi dei tempi non osteggia, ma favorisce la corruttela con la liquefazione delle responsabilità. Infine il paradosso, quello di una Venezia, Città del Carnevale per eccellenza, allegra ed incline alla trasgressione, immalinconita e triste per la vessazioni inflitte dalle esagerazioni del turismo e dal conclamato cambiamento climatico. Avrei preferito raccontarvi di una “Festa di Piedigrotta” da me trasferita dal Teatro Pianeta di Roma, con AICS Mondo Teatro, al Malibran, giusto nel 1980, quando l’amico Maurizio Scaparro dette vita al grande ritorno del Carnevale tra le calli, ad una policroma irresistibile profusione di ottimistica energia, dove le caratterizzazioni napoletane di Beppe Barra e Roberto De Simone, con la Nuova Compagnia di Canto Popolare si fusero con i minuetti di Arlecchino e Colombina , quando traduzioni e cultura del Bel Paese finirono in un magico crogiolo, come avvenne poi ancora il occasione delle Cerimonia di Apertura dei Campionati del Mondo di Atletica nel 1987 a Roma con i “Colori dell’Italia”, diretti da un altro grande maestro con cui ebbi l’opportunità di collaborare, Luigi Squarzina. Insomma, per darvi una idea di quanto sia il danno e che la tristezza di Venezia contamina l’intero Paese, tanto quanto lo strazio dell’alluvione a Firenze, sempre nell’infernale 1966, voglio concludere con uno scritto, appunto di Maurizio Scaparro:
“Provocare, anche in un tempo breve in uno spazio limitato, uno scambio di ruoli e una confusione di linguaggi, interrogare chi fa il teatro e chi lo frequenta sulle nostre sorti future di clown, mi sembrava urgente, e forse necessario. Il Carnevale del Teatro è nato così. Il pubblico, gli attori e, perché no, il caso hanno fatto il resto . Ma non c’è caso che tenga se nel nostro lavoro non credi e non speri nel pubblico e negli attori. Assieme a loro abbiamo buttato in piazza, senza segnalarli con voti di qualità, tutti gli ingredienti che nei secoli hanno fatto teatro e hanno fatto carnevale: il trucco, il travestimento, la maschera, il gesto, la musica, la parola.
Il Carnevale del Teatro iniziò quindi il 10 febbraio del 1980 con due giorni di anticipo sul calendario ufficiale, durante i quali venne presentato al pubblico lo spettacolo itinerante di Giuliano Scabia Giro del diavolo e del suo angelo per la città di Venezia all’inizio di Carnevale.
I teatri della città vennero aperti per ventiquattro ore al giorno durante tutta la manifestazione e vennero utilizzati anche spazi non convenzionali come la Chiesa di San Samuele, i Magazzini del Sale, il Teatro del Mondo appunto e spazi all’aperto come Piazza San Marco, Campo Santo Stefano, la Calle Larga XXII Marzo, il Mercato di Rialto e il Ponte dell’Accademia.
Dal punto di vista organizzativo l’evento fu molto complesso: venne ideata la Carta del Carnevale, un abbonamento garantiva l’accesso agli spettacoli a condizioni vantaggiose e anche Promove, il Consorzio per la promozione del Turismo invernale, partecipò fissando dei prezzi speciali per l’alloggio in ventiquattro hotel cittadini, tra il 14 al 19 febbraio.
Agli eventi teatrali si sommarono una serie di iniziative collaterali quali la riapertura della mostra Venezia e lo spazio scenico, il laboratorio di Donato Sartori su Maschere e strutture gestuali, che si concluse con l’installazione di una gigantesca ragnatela in piazza San Marco, la mostra Project Artaud realizzata ai Magazzini del Sale, il laboratorio di Giulia Mafai su Trucco e travestimento alla Chiesa di San Samuele e nell’atrio del Ridotto e gli incontri a cura di Gaetano Sansone Viaggi e naufragi teatrali nel labirinto della parola.
Il Carnevale del Teatro iniziò ufficialmente con l’esibizione di Marcel Marceau al Teatro della Fenice replicata tre volte in un giorno.
Durante uno degli spettacoli il pubblico rimasto fuori dal teatro irruppe violentemente all’interno della sala per poi acquietarsi ed assistere alla replica.
In quei giorni si susseguirono a tutte le ore spettacoli in ogni dove: al Malibran La festa di Piedigrotta con la regia di Roberto De Simone, al Ridotto i burattini di Otello Sarzi, all’Avogaria Gli ultimi carnevali di Venezia interpretato dalla Compagnia di Giovanni Poli e al teatro galleggiante di Aldo Rossi Centro dell’Aleph del Settimo Teatro e Le roman de fauvel con Cleméncic Consort.
Gli spettacoli di strada vennero curati da due compagnie veneziane, il Teatro Giacomo Giacomo e il T.A.G. che proposero i loro spettacoli a Rialto e in Calle Larga XXII Marzo, da Paul Cotton in Piazza San Marco, dal Gruppo di Bagolino, dal Gruppo Valdoca e dagli spagnoli Els Comediants che coinvolsero il pubblico in una performance itinerante la quale culminò con la bruciatura del toro in Campo S. Stefano.
Dario Fo che si esibì al Malibran fu costretto ad affacciarsi alle finestre del teatro per calmare quanti erano rimasti senza biglietto e replicò lo stesso spettacolo all’esterno per evitare disordini pubblici.
Nonostante le difficoltà tecniche e le incognite di gestione legate a permessi prima negati e poi concessi, di giorno in giorno il Carnevale prese corpo e si crearono nei campi e nelle calli degli agglomerati spontanei di spettatori ed artisti.
Il giorno di Martedì Grasso i teatri terminano la loro programmazione nel pomeriggio e tutti si diedero appuntamento in Piazza San Marco per La festa dell’addio, ripresa da Rai 3 e mandata in mondovisione.
Giudizi positivi unanimi per la manifestazione spinsero l’organizzazione a proseguire con eventi satellite a conclusione del Carnevale: il Teatro del Mondo venne trasportato da Venezia, via mare, lungo le coste dell’Adriatico passando per Rovigno, Parenzo, Osor, Nin fino a Dubrovink, grazie alla collaborazione con Peter Selem, professore dell’Università di Zagabria e presidente dell’Associazione Europea dei Critici del Teatro.
Il Carnevale del 1980 diede una scossa alle modalità di progettazione di eventi culturali e di spettacolo e al contempo riuscì a dare nuova vita ad una festa popolare, tramutandola in una manifestazione colta, sì, ma partecipata. Sulle basi di questa esperienza, il connubio tra teatro e carnevale venne riproposto e l’edizione del 1981 vide coinvolte compagnie teatrali provenienti da tutta Europa, grazie alla collaborazione con Théâtre des Nations, che scelse Venezia come sede del suo annuale festival.
Il periodo di festeggiamento si allungò e passò da sei a nove giorni.”
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