Per l’ennesima volta passa il messaggio del “fuori di testa” per un assassino. In questo caso, l’ultimo doloroso, si tratta di Alejandro Augusto Stephan Meran, autodenunciatosi ladro di motorini, originario di Santo Domingo, che ha ucciso due agenti di polizia, Matteo Demenego e Pierluigi Rotta, a Trieste e che ci riporta alla frustrazione conseguente il recente episodio romano, in cui il carabiniere Mario Cerciello Rega è stato feralmente accoltellato in un contesto di spaccio-truffa/estorsione, per un controvalore di cento euro. In entrambi i casi, si è finiti nella tragedia per un difetto di difesa, ovvero il contrario dell’eccesso. Probabilmente, non esiste una via di mezzo e non si può svolgere un complicato e rischioso ruolo di frontiera, di contrasto al crimine in nome e per conto della collettività, senza averne le opportune condizioni. Essere senza le armi di ordinanza o renderle potenziali prede di aggressori per inadeguatezza delle custodie non sono dettagli di sfortunate circostanze, ma la risultante di una filosofia sbagliata, di un orientamento che porta inesorabilmente al degrado e alla precarietà della funzione, oltre che del ruolo, aumentandone i rischi in modo esponenziale. Tagliare sugli organici, le spese per auto e carburanti, piuttosto che per giubbetti antiproiettile o le fondine di ultima generazione, fa il paio con gli stipendi inadeguati e i limiti all’autorevolezza di chi rappresenta lo Stato, tutti fattori deprimenti per un verso e incentivanti per l’altro, derivanti da uno “storico” fatto di leggi inadeguate, sentenze sbilanciate, di un malessere che non seleziona i livelli, come capitò con Dalla Chiesa, Falcone e Borsellino, divenuti eroici simboli del dovere, ma dopo il martirio. Ieri, durante la lunga litania di dolorose esperienze testimoniate da stoiche vittime in “WOMEN FOR WOMEN AGAINST VIOLENCE”, a Roma, è riemerso lancinante il grido connotato da rassegnazione di coloro che sono state sequestrate, stuprate, accoltellate, seviziate, bruciate e poi hanno visto liberi, di fatto “premiati”, i loro aguzzini. Ieri, il Pubblico Ministero Andrea Fanelli, che segue la riapertura delle indagini relative all’omicidio della giornalista Ilaria Alpi e dell’operatore Miran Hrovatin, avvenuto il 20 marzo del 1994 a Mogadiscio, ha deciso di proseguire la ricerca della verità, che sembra riconduca ad una origine di cui vorremmo rifiutare la paternità, ma che potrebbe essere italica, mafiosa e legata al traffico di armi e rifiuti tossici per una destinazione divenuta, da antico paradiso, inferno, la Somalia. Insomma, sarebbe ora di finirla con le favole ed i pianti di circostanza, perché non è detto che le verità facciano più male delle bugie e dei segreti di Stato.
Ruggero Alcanterini
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