Se ci pensate bene, tutto capita per l’incapacità di cambiare passo, di recuperare almeno il piglio, la visione ambiziosa che avevamo dell’italico ruolo sino all’inizio degli anni novanta, prima della catastrofe preannunciata con la improvvisa metamorfosi ideologica degli ultimi anni ottanta. Adesso, risuona ancora l’allarme per l’ILVA a Taranto. Non si sa se ridere o piangere sul latte versato, posto che per restituire la salute alla Città ed ai suoi abitanti andrebbe eliminata la fonte dei veleni, ma con questa anche la sua economia. Il patto con il diavolo favorito dagli incentivi – che furono della illusoria Cassa per il Mezzogiorno – prima ha portato alla creazione del grande polo siderurgico, negli anni sessanta, con conseguente distruzione della vocazione turistica magno-greca, poi, da 1995, alla via crucis della privatizzazione e della crisi epidemiologica con migliaia di malati e morti tra patologie cardiovascolari e tumorali, oltre che economica e sociale, per via del mefitico inquinamento. L’aver scelto di snaturare un territorio vocato a ben altro, ha significato, come con il petrolchimico in Sardegna, fare il contrario di quel che si doveva ed oggi occorre fare i conti con quel che appare come un mostro, un orco pronto ad inghiottirci. Quando si tornerà all’idea che fu di Claudio Signorile, Ministro per gli interventi straordinari nel Mezzogiorno, tra il 1981 e il 1983, quella di attivare un sistema integrato per sviluppare l‘economia del Meridione attraverso gli “Itinerari Turistici e Culturali”, sarà sempre tardi, ma come si sa è meglio tardi che mai. Gli ultimi elementi distintivi rimasti della nostra rinascenza industriale e imprenditoriale, di quello che immaginavano personaggi come Olivetti e Mattei, si vanno dissolvendo… Da ultimo, la FIAT va alle nozze transalpine, dopo la sua internazionalizzazione; l’Alitalia rischia il declassamento, consegnandosi alla concorrenza. La verità è che paghiamo un trentennio di confusione politico istituzionale, durante il quale abbiamo svenduto la nostra anima con i segni distintivi del nostro brand, centinaia di aziende con i rispettivi marchi e prodotti, moda e design compresi, girando a vuoto, perdendo progressivamente consapevolezza e conoscenza del nostro reale status, in un contesto globalizzato e dominato dal cinismo speculativo, favorito dal declassamento della nostra leadership e da una collettività afflitta da d’ignoranza e rassegnazione. Insomma, se le chiacchiere stanno a zero ed occorre stare ai fatti, non si può che giungere alla conclusione che quel che è accaduto è orribile e che non c’è alternativa a decisioni drastiche, estreme, che pur devono venire dalla polis, prima che dopo, adesso o mai più.
la Repubblica.it – 1985
‘RILANCIAMO IL SUD’ CERCANDO ANTICHI TESORI SULLE TRACCE DEL MITO
– Per Jacques Nobècourt, “il Mezzogiorno è l’ abolizione del tempo storico”. “Io, francese di Normandia, sin dai primi mesi dei miei dieci anni di soggiorno in Italia, ho ritrovato le caratteristiche della mia provincia tra la Puglia e la Sicilia. Una linea ideale congiungeva il San Michele del Gargano a Mont Saint Michel, che si erge in mare aperto sulle coste normanne e San Nicola di Bari a Saint Etienne de Caen. Gli Altavilla siciliani erano i discendenti degli Hauteville normanni e, da Taranto a Trapani, apparivano le tracce piantate nel suolo dei cadetti delle famiglie di Cotentin partiti alla conquista del Mezzogiorno, mentre i loro fratelli primogeniti erano andati in Gran Bretagna con Guglielmo il Conquistatore”. In un unico crogiuolo il Mezzogiorno rimescola le testimonianze delle grandi civiltà al punto che – ed è sempre Nobècourt a sottolinearlo – “in nessun’ altra regione europea si avverte in modo più acuto ciò che significa di fatto “essere europeo” al di là della nazionalità e dei provincialismi”. Fu questa, in sostanza, la premessa e promessa del progetto itinerari turistico-culturali nel Mezzogiorno, una scommessa nata quattro anni fa e, nel tempo, rallentata e spenta nei gorghi del particolarismo regionale, del corporativismo dei ministeri, delle remore burocratiche. Settanta intellettuali rilanciano ora – come una provocazione – l’ iniziativa con la collaborazione dello Iasm, l’ Istituto per l’ assistenza allo sviluppo del Mezzogiorno. “Sul cammino delle grandi civiltà” è il tema del convegno inaugurato ieri nel vanvitelliano Palazzo Reale di Caserta. Un appuntamento arricchito da spettacoli (le opere buffe del Settecento curate da Roberto De Simone), mostre (i coralli di Basilio Liverino, le immagini di Folco Quilici), libri (le pagine di scrittori europei del Sette ed Ottocento). “Oggi è ancor più evidente – ha esordito il presidente dello Iasm, Andrea Saba – che la salvaguardia dei valori culturali ed ambientali è divenuta esigenza primaria per difendere una straordinaria civiltà e farne al tempo stesso elemento di reale sviluppo”. Cultura e sviluppo dunque sono i poli della discussione di Caserta che se sul terreno economico ha già lanciato i primi segnali d’ allarme, su quello più propriamente culturale chiama l’ Italia ad un senso di responsabilità. Le presenze turistiche del Mezzogiorno, lentamente ma con costanza, diminuiscono. Soltanto il 17 per cento delle 331 milioni di presenze ha interessato, nell’ 84, il Mezzogiorno, mentre “il tesoro culturale” che le regioni al di qua del Garigliano raccolgono è abbandonato per lo più ad un destino di degrado. Eppure l’ Unesco ha recentemente valutato che il 34 per cento di tutti i beni artistici, archeologici e culturali esistenti al mondo sono in Italia, e di questa parte più della metà nel Mezzogiorno. L’ idea del progetto varato nell’ 81 da Claudio Signorile, allora ministro del Mezzogiorno, sostenuto da Enzo Scotti responsabile dei Beni culturali era semplice: sfruttare a pieno regime la “risorsa culturale” come moltiplicatore di flussi turistici verso il sud. Furono individuate le direttrici degli itinerari. In ognuno dei diciassette itinerari si intersecavano tempi storici diversi fissati dal cammino delle grandi civiltà. La fenicio-cartaginese-nuragica tra la Sicilia e la Sardegna; il Mezzogiorno greco da Taranto a Reggio Calabria, da Messina a Selinunte; la civiltà sannita lungo i territori abruzzesi-molisani della transumanza; la via Appia e le Ville imperiali della Romanità; lo stratificato percorso arabo-bizantino-normanno-svevo di Puglia, Calabria e Sicilia; la magnificenza del Barocco napoletano, l’ esuberanza quasi sfrenata di quello leccese; il valore della “cultura materiale” negli habitat rupestri da Altamura a Matera, lungo i tratturi di Centurelle ed Alfedena. Il progetto aveva la presunzione di essere non soltanto occasione di ripristino di beni storici, artistici, archeologici o semplice iniziativa per incanalare verso il Mezzogiorno flussi turistici maggiori. Quasi soffocata, l’ iniziativa viene riproposta a Caserta con la collaborazione di settanta artisti, scrittori, poeti, storici, architetti, urbanisti, filosofi, economisti. Per tre giorni nelle sale della Reggia vanvitelliana intellettuali come Carlo Bernari, Elena Croce, Fulvio Pratesi, Cesare De Seta, Paolo Portoghesi, Luigi Firpo, George Vallet, Sabatino Moscati, Paolo Alatri offriranno la loro testimonianza dell’ intimo rapporto con la storia, l’ arte, l’ ambiente del Sud, i “segni” di una civiltà che non finisce mai di stupire, le “radici” solide e profonde su cui hanno fondato e continuano a fondare la propria ispirazione generazioni di uomini di cultura. Una rievocazione giocata sul filo della memoria che è oggi già di per sè una provocazione in un territorio ferito, spesso irriconoscibile, stravolto dall’ urbanizzazione e da interventi dissennati.
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