Il primo pensiero, quello rivolto alla sofferenza, all’orribile, ma pur fatuo trapasso di tanta storia e con essa di tante anime che l’hanno fatta, animata, resa terribile e meravigliosa, com’è il frutto del nostro inesorabile, cinico divenire. Il fuoco che ha divorato in una sola notte quello che milioni di umani avevano riposto tra le pietre ed i legni di un tempio dalla vocazione antichissima sulle rive della Senna, Notre Dame, che ancora una volta assurge a simbolo. Simbolo, sì simbolo di una collettività controversa, capace di porsi sul ciglio della rivelazione, dell’incommensurabile oscuro vuoto tra le stelle, che l’hanno generata e subito dopo lasciar bruciare come Giovanna d’Arco, Savonarola o Bruno, piuttosto che Troia, la Biblioteca d’Alessandria o il cuore della Roma imperiale, quel luogo, appunto Notre Dame, da cui sono volate via anime pure e impure di una storia anche inquietante, passando per presenze ingombranti, da Filippo il Bello a Napoleone, a De Gaulle, a Sarkozy e Macron, alla sventurata idea di un incauto restauro. In realtà, Notre Dame, che sarà ricostituita nella sua immanenza in riva alla Senna, rimarrà un simbolo ancor più forte delle rinnovate sembianze, un simbolo ed al contempo un monito per ricordarci i fasti imperiali, come le nefandezze plebee, ovvero, al di la’ della retorica, che ci porterebbe ai convenevoli di circostanza, la necessità di ricordare per capire i nostri come, i nostri perché e magari farcene una ragione. Per questo, soltanto per questo, vi ripropongo quel che gridò Jacques de Molay, Gran Maestro dei Templari, giustiziato con rogo a fuoco lento sull’Isolotto di Pont Neuf , appunto di fronte alla Cattedrale di Notre Dame il 14 marzo del 1314: “”Desideriamo che i nostri volti siano rivolti alla Cattedrale di Notre Dame e desideriamo lodare ancora l’Onnipotente con il Te Deum, mentre il fuoco farà scempio delle nostre carni. Quanto a voi, miserabili, indegni di essere chiamati uomini, che avete infangato un Ordine Sacro, ascoltate attentamente: tu, Filippo, re della menzogna, e tu Clemente, fantoccio indegno del soglio pontificio, e tu, Nogaret, abile spia e concertatore dell’infamia e del disonore, ascoltate: sarete al cospetto del Santo Tribunale di Dio entro l’anno per rispondere delle vostre nefandezze!” – Il 20 aprile 1314 un morbo incurabile colpì papa Clemente V e durante i funerali una folgore bruciò il suo corpo nella stessa Cattedrale di Notre Dame. Il 29 novembre Filippo IV morì durante una battuta di caccia. Il 31 dicembre, Guglielmo di Nogaret, autore dello schiaffo a Bonifacio VIII in quel di Anagni, cessò improvvisamente il suo tortuoso percorso di vita, per una meningite. E come scrisse Dante:
«Perché men paia il mal futuro e ‘l fatto,
veggio in Alagna intrar lo fiordaliso,
e nel vicario suo Cristo esser catto.
Veggiolo un’altra volta esser deriso;
veggio rinovellar l’aceto e ‘l fiele,
e tra vivi ladroni esser anciso.»
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