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L’editoriale del Direttore: L’ARCHEO RIFIUTO

Care ragazze e ragazzi, come San Tommaso, ho voluto fare la prova e mi sono posizionato sotto vento, rispetto ad un plotone di cassonetti sgangherati e trasudanti, ancorché svuotati. I miasmi del percolato e del sudiciume penetrano, trafiggono finanche i lobi del cervello e ti strapazzano la bocca dello stomaco, ti suggeriscono conati e di avviluppano le regioni oculari, annunciando un pessimo inizio di giornata. Ecco, che forte del nauseabondo test, rivolgo il pensiero a chi, come Decimo Giunio Giovenale duemila anni fa, continua ad avere problemi con la mondezza della Città Eterna. Allora, come adesso, a quel che veniva gettato in strada provvedevano i randagi, topi, cani, gatti, cinghiali, piccioni, cornacchie e gabbiani, infine gli addetti con carri coordinati dai “curatores viarum”, che portavano via quel che non finiva nelle fogne, di cui la Cloaca Maxima, realizzata da Tarquinio Prisco, duemilasettecento anni fa era la regina. Ma perché oggi mi dedico all’olezzante argomento? Perché è impossibile ignorarlo, tanto ne siamo avviluppati e sommersi. D’altronde, se l’archeo rifiuto era prevalentemente biodegradabile, il moderno, con l’avvento delle componenti in amianto e la plastica, non lo è, anzi è pericoloso, praticamente “eternit”. Diciamo che, con la dismissione dell’antica discarica differenziata di Testaccio – dove si accumulavano i cocci dei “vuoti” per olio e vino – e quella apocalittica moderna di Malagrotta, si è esaurita la capacità autonoma di smaltimento dei romani, salvo accumularla nelle strade o inviarla via nave, treno e tir in ogni dove, per ottenerne la distruzione comunque inquinante attraverso quei termovalorizzatori, il cui preconcettuale rifiuto ha determinato la crisi irreversibile che stiamo vivendo. Mi chiedo sempre se lo smaltimento in discarica non sia stato e sia un delitto consapevole contro l’umanità, di cui noi stessi siamo parte. L’inquinamento del suolo, delle falde acquifere, dell’aria sembra che non sia un problema per chi si oppone al male minore, costituito dall’uso di moderni termovalorizzatori. E sia, continuiamo a preferire il metodo degli antichi, convivendo con lo schifo, con l’archeo rifiuto di una innovazione che puzza tanto d’ipocrisia.

Ruggero Alcanterini

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