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L’editoriale del Direttore: LA REGOLA ITALICA

Grandiose partenze e miserevoli conclusioni, come dire “Lasciate ogni speranza voi ch’entrate” deliberatamente nell’inferno, il momento stesso che decidete di esporvi, di assumere un ruolo di responsabilità. Non uno contro tutti, ma tutti contro uno. Questo il clima che si determina ogni qualvolta emerge una salvifica presenza. Questo rinnovella la rivolta o se preferite il moto dannunziano nato a Roma con i suoi appelli, giusto il 18 gennaio 1919, giorno di apertura della Conferenza di Pace a Parigi, dopo gli esiti vittoriosi della Prima Guerra Mondiale, conclusasi poi con il fallimento della missione italiana guidata da Emanuele Orlando e Sidney Sonnino e quindi con il rancoroso discorso del “Vate” a Venezia, il 25 aprile, contro la pavida casta politica, sino alle estreme conseguenze, sino alla sua temeraria Impresa di Fiume. Questo, dunque, elemento illuminante di una storia, sorta di regola consolidata dai fatti, tutta nostra, italica. Il resto diventa ordinaria noia, nella speranza che nessuno abbia l’ardire di irrompere nella morta gora, nel perverso ginepraio frutto di malefica genialità, che è il mare magnum della nostra burocrazia. E così, partendo da intenti virtuosi sin dal 23 agosto del 1988, con la Legge 400, tutto quello che si è generato sino all’8 marzo del 1999, con la “Bassanini Quater”, e le successive deroghe sulla semplificazione del sistema, da centrale a periferico e da pubblico a privato. La rilocalizzazione e la delegificazione erano gli obiettivi per alleggerire il sistema, come avvenne con lo smantellamento delle Partecipazioni Statali e dell’industria di Stato per la sua gran parte, salvo eccezioni. I risultati pare che siano tutt’altro che pari alle premesse, alle motivazioni di tanto impegno leguleio, salvo dover piangere sul latte versato, dalle autostrade alle attività di produzione strategica, come nel caso dell’ILVA. Per il resto, l’innovazione informatico-digitale auspicata è in grande ritardo e le infrastrutture della mobilità vedono allargarsi sempre di più la forbice tra l’alta velocità e i rinsecchiti rami regionali, unica via su ferro per Meridione e Isole. Il problema è che la manutenzione delle grandi opere viene considerata alla pari dell’effimero, così come l’educazione al civismo e l’attività motoria, piuttosto che la prevenzione salute con la medicina scolastica nelle “primarie”. E’ pur vero che governare non è semplice, né tantomeno facile e che l’attuale classe dirigente del Paese è la risultante di costante pesante logoramento, che ha messo in mora la politica e i partiti con le iniziali maiuscole, ha svilito e reso altamente pericolose le attività amministrative. Adesso, si sta riscoprendo la saga del passaggio dalla prima alla seconda ed alla terza Repubblica in modo irrituale, banale, per via di un film come Hammamet, che ricorda il dramma di Bettino Craxi, ma sarebbe interessante fare un riepilogo generale e capire come si sono via via, inesorabilmente, spente pulsioni, energie, slanci, e speranze legate a personaggi della fase repubblicana, che pure avevano qualità anche straordinarie. Intendo da Togliatti a De Gasperi, da Fanfani a Segni, a Moro, ad Andreotti, Cossiga, lo stesso Craxi, Ciampi, Berlusconi, Prodi e D’Alema, sino all’avvitamento finale, iniziato con Monti. L’impressione è che sia scattata una sorta di fase finale o “preambolica” del tutti contro uno, di qualcosa che ci dovrà pur toccare, in cui i Governi sono stati affidati prevalentemente a non parlamentari, surrogati o garanti, come nel caso di Monti, Renzi e Conte, chiamati a svolgere mansioni straordinarie mentre i riferimenti elettorali sono in continua metamorfosi e fluttuazione di consensi e stabilità. Non miglior sorte è storicamente toccata agli stessi Presidenti della Repubblica, che non eletti per suffragio universale, ma frutto di compromessi parlamentari, hanno avuto anche loro sofferenze, come nei casi di Gronchi, Segni, Leone e Cossiga. Come dire, se ad un certo punto i ponti e le gallerie crollano, mettendo allo scoperto ammaloramenti velenosi, se si tenta di modificare le regole del gioco nel pieno di un vertiginoso precipitare, ci sarà pure una ragione. Per capire il perché e cosa fare, per rendere perfettibile la perfida “regola italica”, per non andare a sbattere senza rimedio, occorrerebbe una salutare serena pausa di riflessione. Ecco quel che manca e quel che appare impossibile, nel voluto clima della permanente emergenza.

Ruggero Alcanterini

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