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L’editoriale del Direttore: L’ AFRICA DI SILVIA E FROBENIUS, LA NOSTRA E LA LORO

Il mal d’Africa non ci molla. Cresce il tam tam sul processo per il rapimento di Silvia Romano, in Kenia, a Malindi, quindi preme l’ennesima sosta forzata di una nave ONG con migranti a bordo, la Mare Jonio, in vista di Lampedusa, poi allarmano gli sbarchi “liberi” ovunque, dalla Puglia alla Sardegna. Questi, però, rappresentano gli effetti secondari di una attività primaria, da cui noi non siamo estranei, ancorché vittime, ovvero quella di una pelosa intromissione nel Continente Nero, ieri probabile incubatore delle origini umane e prima culla della civiltà mediterranea, poi oggetto della cupidigia coloniale ed oggi crogiuolo alchemico del caos, dal terrorismo all’iperdegrado ambientale, dallo sfruttamento rapinoso del territorio alla migrazione indotta, alle guerre finalizzate ad interessi inconfessabili, ma evidenti, cominciando da chi del bellico fa industria. E allora? Allora non dobbiamo sottrarci all’esigenza di capire e di comprendere come il loro destino e il nostro futuro non siano disgiunti dai nostri e dai loro comportamenti , quasi come un combinato disposto, secondo la massima “Fai del bene e scordalo…”, ma diversamente ricordando il proverbio “Chi è causa del suo mal, pianga se stesso !”

2 settembre 2018 ·
LA NOSTRA AFRICA 2… – La riproposizione di un mio scritto di due anni fa, legato alla straordinaria storia dello studioso tedesco Leo Frobenius ed anche in memoria della seconda vita di Leni Riefenstahl, la insuperabile regista di Olympia, nonché di Karen Blixen, rende omaggio all’immensità della storia e della cultura africana, ancora e sempre più vilipese dalle tragiche vicende che hanno stravolto e che continuano a fare strame del Continente Nero, che avrebbe di per se quante e più risorse occorrerebbero per renderlo ampiamente autosufficiente. Purtroppo, da millenni quella terra promessa è oggetto di cupide attenzioni, fonte di illecita ed amorale ricchezza per ogni sorta di avventurieri e cinici sfruttatori, oggi ridotta anche a pattumiera per i rifiuti tossici di mezzo mondo, compresi i nostri.
Lo sfruttamento delle migrazioni forzate, un tempo verso le Americhe ed oggi verso l’Europa è stata ed è tradizionale, lucrosa e sanguinaria attività di organizzazioni ed associazioni criminali, dedite anche e principalmente al commercio di uomini e donne, bambini resi schiavi con la complicità implicita dell’inerzia delle organizzazioni internazionali, che pure si adontano del compito di contrastare e difendere. Questo riduce il problema all’odioso e vergognoso gioco del cerino per un’accoglienza inadeguata, pelosa e dannosa, proprio perché contribuisce drammaticamente e irreversibilmente alla distruzione del patrimonio culturale africano e contemporaneamente allo stravolgimento degli equilibri socio-politico-culturali- economici dell’Europa, ancora condizionata dalle vocazioni colonialiste e dalle ferite profonde causate da due conflitti mondiali con milioni di morti e rigurgiti di ogni genere, dal comunismo, al fascismo al nazismo, all’imperialismo e al sovranismo , tutti col comune denominatore della speculazione finanziaria, il vero male oscuro, ributtante, che si aggira tra noi umani e ci minaccia costantemente in maniera evidente, ma resa subdola dal mimetismo di cui si ammanta, dai falsi profeti agli ipocriti della comunicazione, dai politici infami ai finti salvatori, dai giustizieri sommari ai dilettanti allo sbaraglio, dalla notte che inesorabilmente si alterna al giorno e che nel buio rende tutti eguali, buoni e cattivi.

2 settembre 2016
LA NOSTRA AFRICA – Francamente, di fronte all’esodo biblico delle popolazioni africane verso il nostro Paese, sto pensando che dovremmo farcene una ragione, almeno per cavare da questa situazione, imposta dalla congiuntura astrale, gli aspetti meno negativi, se non positivi. Ebbene, credo sia giunto il momento di rivedere atteggiamenti e vecchi preconcetti di fronte al continente Africa, cercando nel profondo, cercando di capire e di conoscere chi arriva quotidianamente con mezzi di fortuna fino alle nostre coste, lasciando le proprie radici oltre il Mare Mediterraneo, che un po’ ci separa e molto ci unisce. Provate, come ho fatto io a rivisitare l’opera di Leo Frobenius, un professore nativo di Berlino, sepolto da noi a Pinzolo, sul Lago Maggiore, dal 1938. Lui aveva intuito le matrici della civiltà dal Sahara all’Egitto, all’Algeria, alla Nubia, al Sudafrica e li, in quei luoghi, ne trovò straordinarie testimonianze fatte di migliaia di simboli, racconti orali, rituali, elementi di collettivi evoluti, che basavano e basano ancora la capacità di evolversi sulla commozione e sulla emozione. Sulla scia di Freud e Jung, con una sua visione metafisica, si fece guidare dalla teoria dell’inconscio collettivo, considerando il simbolo elemento fondamentale della conoscenza. Per questo fondò a Berlino, nel 1898, l’Archivio africano e a Monaco nel 1922 l’Istituto di ricerca per la morfologia della civiltà, oggi a Francoforte proprio come Istituto Frobenius. Per capire meglio chi si riversa in massa sul “pontile” Italia, portando con se straordinarie esperienze e potenzialità umane, intrise delle proprie tradizioni, chiamo in causa due personaggi straordinari come Karen Christentze Dinesen von Blinxen-Finecke (Karen Binxen) e Leni Riefenstal (notissima per il suo monumentale film Olympia sui Giochi di Berlino 1936) che hanno dedicato parte importante delle loro vite proprio alla cultura dei popoli dell’Africa, riconoscendovi i fondamenti della civiltà umana. Del resto per vie diverse e traverse, i mercanti di uomini hanno iniziato il loro tragico mestiere molti secoli fa ed oggi le Americhe recano visibili segni della presenza africana, a cominciare dal Presidente degli USA, Obama, per finire al re “olimpico”, l’uomo più veloce della Terra, Bolt, come lo furono Lewis ed Owens. Penso, per concludere, che sia maturato comunque il momento fisiologico della osmosi, fatta non soltanto di tatuaggi etnici e di anelli al naso. * Leo Frobenius dedicò parecchi anni, all’inizio del Novecento, a spedizioni antropologiche e archeologiche nei luoghi più vari dell’Africa, dal Fezzan al Capo, dal Sudan al deserto del Kalahari, e ne riportò preziosi reperti, oggetti di culto e della vita quotidiana, nonché le prime riproduzioni di ignote pitture rupestri. Ma altrettanto prezioso fu il tesoro di storie che raccolse dalla viva voce di narratori locali e poi pubblicò nei dodici volumi di Atlantis, inesauribile miniera di miti, fiabe e leggende. L’opera in cui tutte queste esperienze e scoperte si presentarono in una sorta di summa fu tuttavia la Storia della civiltà africana, apparsa nel 1933. Opera imponente, audace nel suo impianto teorico per la visione diffusionista dei Kulturkreise – che oggi torna a essere dibattuta –, questa Storia è anzitutto il tentativo affascinante di delineare la morfologia di un continente, tentativo che rimane unico nel suo genere. Come pure è altamente peculiare il fondamento conoscitivo che qui si rivendica: l’esigenza di individuare la Ergriffenheit, la «commozione» che sta alla base di ogni forma di cultura. Non meraviglia dunque che fra i lettori più attenti e appassionati di questo libro vi siano stati Pavese, Canetti e Giorgio de Santillana. E va ricordato che i primi sostenitori della négritude, come Senghor, riconobbero nella Storia di Frobenius la più grandiosa rivendicazione, da parte di uno studioso occidentale, di ciò che è stata, nelle sue variegate manifestazioni, la civiltà africana. Fra il 1921 e il 1928 Frobenius pubblicò, con il titolo Atlantis, un’opera sterminata in più volumi che rimarrà il vero tesoro narrativo delle civiltà africane. E uno dei capitoli più affascinanti di questo universo di storie è costituita dalle Fiabe del Kordofan, che Frobenius apprese nel 1912, sempre dalla memoria orale di alcuni cammellieri di El Obeid,…”

Ruggero Alcanterini

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