Da uno squarcio nella nebbia omertosa del virus, irrompe una notizia dolorosa. L’amico Franco Lauro, esempio di valenza giornalistica di nome, cognome e di fatto, un campione di fair play, non è più. Semplicemente volato via verso Borea, senza preavviso, nel silenzio ottundente che incombe sulla scena sportiva, quasi che la pausa imposta al movimento agonistico sul campo fosse un segnale. Lui, come Beppe Viola nel 1982 e Paolo Valenti nel 1990, ci ha lasciato più o meno senza un amen, ma con il cuore ed il cervello gonfi di ricordi, pensieri, interrogativi. Franco, che avevo potuto apprezzare per carattere e competenza durante la mia presenza alla TGS, tra il 1991 e il 1993, avrebbe meritato ben altro destino professionale e di vita, come gli altri due amici, Beppe e Paolo. Onestamente, nutrivo per lui una forte empatia, peraltro affettuosamente ricambiata. Al di là della dichiarazione degli affetti, colgo l’occasione per riaffermare il concetto che dovrebbe sempre illuminare le scelte, quello del merito, che purtroppo continua ad essere largamente disatteso, soprattutto nel sistema pubblico, dove le interferenze a vario titolo hanno un peso determinante. Sento di dover sottolineare questo bisogno del merito, come imperativo per il futuro, nel rispetto di tutti coloro che in vita hanno dato ben più di quanto abbiano ricevuto. Infine, l’abbraccio e il saluto a Franco, cinto di quel Lauro che gli compete appunto per cognome, merito e nomanza.
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