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L’editoriale del Direttore: IL DOVERE COMPIUTO

Prendo lo spunto dalla recente fantastica celebrazione di sport e cultura, tra passato e futuro, voluta dalla Sezione Romana dell’Unione Nazionale Veterani Sportivi, intitolata a Marcello Garroni. Cosa vi devo dire, lo so che il tema della nostalgia è ricorrente tra di noi, che forse non è vero che si stava meglio quando si stava peggio, che si corre il rischio di apparire scontati e scaduti come lo yogurt dimenticato nel frigo, quando si racconta di profumi e colori irripetibili dell’atmosfera irreale, che regnava nel tempo della sconfitta e della vittoria, quando dal fascio littorio si passò con un amen alla stella repubblicana e l’impalcatura dello sport, una delle realtà nazionali più importanti, efficienti e strutturate, andò sbilenca, finì fuori Costituzione e dai programmi educativi, almeno per le “elementari”, oggi “primarie”, perché il retaggio dell’Opera Balilla era troppo ingombrante ed il pregiudizio un sentimento incomprimibile, anche a costo di farsi del male. Così quando Onesti, prima Commissario liquidatore e poi coraggioso e provvido Presidente di un Ente fascistizzato com’era il CONI, dovette rimettere in sesto quel che era rimasto del vecchio per provvedere al nuovo, raccolse intorno a se una squadra di uomini esperti, seppure reduci. Uno di questi, che lui conosceva bene, era proprio il nostro Marcello Garroni, già quattrocentista e ottocentista degli anni trenta, ma soprattutto ex Segretario del Guf, dunque con una importante esperienza nello sport universitario. Era il 1949 e l’ex direttore di Roma Fascista, rivista dove nel ’41 Carlo Lizzani aveva esordito come critico cinematografico, faceva ritorno a Roma, da Milano, dove si era traferito dopo l’8 settembre del 1943, per lavorare alle Assicurazioni d’Italia. Nel quarantanove io avevo otto anni e il Foro Mussolini era ancora nuovo di pacca, di libero accesso e rispettato, decisamente più di oggi, Foro Italico, ammalorato e sovraccarico di imbarazzanti superfetazioni. Ancora ho nelle orecchie le note ritornanti de La bella biondina e di Gira gira l’elica, che mio padre canticchiava, segnalando il suo buonumore e le scampanellate del mio amico Tonino Ferro, figlio di Guglielmo, ex astista “ terza serie” del GUF e ginnasta della Borgio Prati, amico appunto di Marcello Garroni e mio iniziatore all’amore per l’atletica. Fu così che dalla inaugurazione dell’Olimpico nel ’53, sino ai Giochi Olimpici, non persi un appuntamento con il mio futuro e con il mio presente di uomo di sport a tutto tondo. Ma quanti sono, se non una quantità innumerevole coloro che hanno potuto cogliere il benefico refolo di vento scaturente dal Palazzo H in quegli anni cinquanta e sessanta, che hanno segnato la storia del nostro costume e la rinascita italica nel suo complesso, in tempi da record. Il titolo del Rapporto sui XVII Giochi, IL DOVERE COMPIUTO, redatto con Romolo Giacomini, pilastro del Corriere dello Sport e mio primo Segretario di Redazione, la dice lunga sul modo di pensare di Marcello Garroni, che preferiva stare un passo indietro nella forma, ma uno avanti nella sostanza. Vice Segretario Generale del CONI, Segretario Generale dei Giochi di Roma 1960, ha lasciato l’impronta in tutte le cose di cui si è occupato, da Capo Delegazione alle Olimpiadi di Melbourne, passando per Helsinki e poi nelle scelte caratterizzanti i XVII Giochi, come quelle di rendere simboli indelebili dell’Evento la Basilica di Massenzio e l’Arco di Costantino. Soltanto a leggere la sintesi del lavoro svolto con mezzi diversi dagli attuali, facilitati dalla tecnologia avanzata, c’è da farsi venire l’orticaria. Quella mole impressionante di lavoro fu alla base di un risultato che ci restituì in un colpo solo le credenziali di grande Paese, tanto che sia per i successivi appuntamenti “pentacerchiati”, a Tokio e Città del Messico, gli fu chiesta la consulenza organizzativa, cui in parte non si sottrasse. E poi, chi si dimentica della sinergia avviata con le Forze Armate, della sua idee per la super staffetta 100X1000, per i Giochi della Gioventù, per la Scuola Nazionale dello Sport, con un panel scientifico degno della più grande università e con discenti che avrebbero continuato con massima perizia a tessere la storia gloriosa del nostro sport e non solo… Garroni, che ieri abbiamo citato come il Gladiatore di nome Marcello, manifestava la sua intima vena goliarda inforcando la sua bici da bersagliere per incontrare Giulio Onesti da un’ala all’altra del Palazzo, della magia inventata dal Del Debbio (dove l’imbarazzante affresco di Luigi Montanarini, nel Salone, era coperto da un enorme drappo verde, la foglia di fico del Comitato Olimpico, che sarebbe stata tolta dal Ministro per i Beni Culturali, Walter Veltroni, soltanto nel 1996) e magari sopportando con l’aiuto di Amos Matteucci le irritualità dei “cussini” guidati da Lojacono e Nebiolo ad un tiro di schioppo, in via Filippo Corridoni. Era laureato in economia e commercio e forse l’essenzialità che ne derivava si sposava con il suo modo di operare, salvo riemergere, come un fiume carsico, la sua tendenziale geniale sregolatezza, quella che con il prof. Antonio Dal Monte, avrebbe portato ad un aureo periodo di sperimentazioni e invenzioni al Centro dell’Acquacetosa, che anche per questo avrebbero visto lo sport italiano divenire forte riferimento internazionale. Però, per Marcello Garroni, come per tanti altri straordinari dirigenti, a cominciare la Lando Ferretti, di onore al merito ancora poco si vede… Insomma, è possibile che si cada sempre sugli stereotipi conclamati e non si abbia il coraggio e la capacità di scavare nella memoria e recuperare valenze, elementi utili per meglio capire da dove e come veniamo per avere idee più chiare, se non certezze, per le scelte da fare nel presente e nel divenire, per obiettivi futuri non opinabili? Alla fine, nel 1981, tra ottobre e dicembre, Garroni ed Onesti volarono in Borea a 48 giorni l’uno dall’altro, decisamente troppo presto, a settantadue e sessantanove anni, ma nella certezza di aver dato comunque tutto senza trattenere nulla, salvo poche testimonianze onuste di vera gloria, quelle messe in mostra sabato scorso all’Auditorium Vittorio Pozzo: le Chiavi di Roma Olimpica, il Collare Olimpico, il Capitello simbolo dei XVII Giochi, una Foto con i Presidenti Andreotti ed Onesti, raccolte di francobolli, buste ed annulli ufficiali ed al posto d’onore i due poderosi volumi del Rapporto sull’impresa di Roma 1960, appunto IL DOVERE COMPIUTO.

Ruggero Alcanterini

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Ruggero Alcanterini

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