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Dal disastroso capolino della bozza di decreto del PCM, a quella precipitosa dei viaggiatori verso il sud, passando per l’inquietante conato rivoltoso tra gli ospiti delle carceri, per finire alla menefreghista migrazione di gitanti sulle spiagge e sulle piste da sci, questa la panoramica di quello che potrebbe essere l’ultimo, estremo tentativo di fuga da una realtà che appare contingente, ma che è la risultante di una visione distorta dei diritti, dei doveri e degli obblighi in uno Stato che si identifica come Paese civile. In effetti, l’idea di infischiarsene del “Corona”, ieri si combinava con il sole memore dell’otto marzo, che voleva comunque omaggiare la parte più razionale della nostra collettività, le donne. Ma intanto aumentavano in linea geometrica contagiati e vittime. Intanto andavano in paresi servizi e sistemi, attività ed economia. Adesso, dopo la Lombardia, si palesano restringimenti progressivi ben oltre gli iniziali, di altre regioni, piuttosto che di borghi e città. In realtà ormai nulla è estraneo al fenomeno pandemico, che continuiamo sostanzialmente a rifiutare, come capita con l’orribile realtà ambientale in cui l’uomo, rapito da suicida egoismo, ha precipitato la Terra. Qualcuno penserà ad un paragone inadeguato per difetto, ma credo che l’esempio dato in questi giorni dalla Lega di Serie A del calcio sia esemplificativo del concetto. E allora? Allora, a futura memoria, nel breve e nel medio termine, occorrerà che chi governa abbia il coraggio di farlo e che, superata l’emergenza, metta i veri problemi in agenda, cominciando dalla inesistente educazione civica e sanitaria, nonché motoria nelle scuole. Un atto fondamentale da compiere, spostando risorse su voci di spesa oggi praticamente eluse, che fanno della nostra società civile una collettività ignorante. Rincorrere i problemi, anziché prevenirli, cercare di rigenerare la classe medica e paramedica impoverita da numeri chiusi e prepensionamenti, tentare di recuperare nosocomi dismessi o di adattare immobili con altra vocazione per recuperare la logica di prossimità nei territori, dopo aver fatto strame di quanto c’era, in nome e per conto della diafana Comunità Eurocentrica, adesso appare stupido se non demenziale, ma tant’è. Forse occorrerà invertire la naturale tendenza a guardare il bicchiere mezzo pieno e prendere consapevolezza del mezzo vuoto, di capire che chi grida al lupo, anche quando non lo si vede, spesso non esagera, ma semplicemente utilmente intuisce. Infine, ricordiamoci della storica metafora del Titanic, ostinatamente in festa, pur con l’acqua già alla testa.
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