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Improvvisamente, ieri sera , ho avuto la sensazione di aver inseguito una misteriosa chimera per tutto il tempo che mi è stato sinora concesso su questa terra.

Sì, vedere re Bolt rotolarsi a terra come fulminato , mentre apriva il suo compasso per ghermire metri e avversari , mi ha lasciato basito ed è stato un tutt’uno pensare al 1987, giusto trent’anni fa, quando concludevo con i miei compagni di squadra l’organizzazione di Roma ’87 e contemporaneamente quel ciclo straordinario di rinnovamento per la regina degli sport.

Avevo cominciato da bambino a credere nell’atletica, quando me ne ero perdutamente innamorato tra il 1953 e il 1960, segnato dalle emozioni vissute nella suggestione assoluta dello Stadio Olimpico, smagliante, appena costruito da Vitellozzi in armonia con il sogno di Del Debbio e Moretti.

Lì avevo conosciuto dalla tribuna semidei, da ammirare ed imitare come Giuseppe Dordoni e Giuseppe “Nicolino” Beviacqua, in trionfo sulle spalle di Tosi e Consolini, Vladimir Kuts nell sua galoppata siderale, ma anche il “delirio” oceanico degli “Studenteschi”, il crescendo rossiniano con un direttore d’orchestra di nome Bruno Zauli, sino all’apoteosi dei XVII Giochi e sino all’arrivo ultra crepuscolare di Bikila all’Arco di Costantino. Onestamente, ci credevo sino al punto di litigare con l’universo mondo, quando venimmo accusati di broglio per il salto “taroccato” di Evangelisti.

L’atletica, nel 1987, dopo vent’anni di rampante escalation, nel momento della celebrazione di un primato indiscutibile, era invece incappata nella bufera, precipitata in un orrido. Diciamolo pure, si trattò di una fesseria assoluta di cui ancora paghiamo le irreparabili conseguenze, senza sapere chi “ringraziare” realmente e che liquidò in pochi attimi il lavoro disinteressato e geniale di quanti di noi avevano spassionatamente contribuito a costruire l’edificio di una disciplina moderna, con spirito vincente in pista e fuori, restituendola al ruolo guida dello sport italiano e internazionale, che le competeva.

Ora non sono soltanto i risultati di livello agonistico che mancano, ma piuttosto è il venir meno delle motivazioni originarie che ci angoscia. Gli sport e l’atletica in particolare offrono straordinarie opportunità esperienziali per chi compete e chi assiste, purché siano vissute e condivise per il giusto verso.

Adesso che anche Usain Bolt è caduto a terra prima del traguardo ed ha mostrato senza velature la sua fragilità – ancora una volta rubando la scena a vinti e vincitori – mi chiedo se anche questo non sia un segnale, un monito, che ci impone di riflettere sui valori reali, di quanto sia valsa la pena immaginare un futuro diverso per l’atletica e attraverso l’atletica.

A Londra sono andati sul podio atleti “neutrali” con l’inno della IAAF, che qualche tempo fa si era dovuta liberare dei suoi vertici, che erano progressivamente marciti. Il dubbio è che certi messaggi non chiari, come quello di far correre atleti da soli a titolo risarcitorio, creino una perniciosa confusione ed abbassino l’indice di valore educativo.

Nel trentesimo di Roma ’87, accuso perciò una profonda tristezza ed un senso di smarrimento nel dover riconoscere che forse la visione elitaria che avevamo avuto in quegli anni era ed è profondamente sbagliata, che l’atletica senza il mondo scolastico ed i grandi numeri rischia di regredire a fenomeno incompleto, pervaso dalla teoria e che la ricerca esasperata delle medaglie attraverso organizzazioni istituzionali selettive e centri di alta specializzazione possono portare alla creazione di veri e propri serragli lontani dall’humus sociale, perché oggi anche le eccezioni e le eccellenze, com’è il caso dello stesso Gimbo Tamberi, vivono di fatto in un contesto straordinariamente autoreferenziale.

Chi ha vissuto come me le diverse stagioni degli studenteschi, dei non tesserati federali di “berriana” memoria, della promozione sportiva, dei Giochi della Gioventù, della rabbia barlettana matrice di Mennea, del movimento “amatori” e dei “master” negli anni sessanta/ottanta, come reale ampliamento di una sfera d’influenza reale nell’immaginario e nel tessuto della società civile, ha palese la visione di un inaridimento , della mancanza di uno scambio e di un ricambio di risorse soprattutto umane. Ma la spettacolare contrattura di Bolt che c’entra ? C’entra, c’entra… (Tra le immagini, per Roma 1987, una per tutte, la foto del “super partes” Augusto Frasca, maestro di temperanza e della buona comunicazione).

 

 

Ruggero Alcanterini

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Ruggero Alcanterini

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