– A Roma si dice: “ Morto un Papa, se ne fa un altro!” Una bruttissima espressione, se appesantita dalla grevità del romanesco, ma di un realismo essenziale nel suo cinismo. Eppure, non sempre è così e questo fu proprio il caso dell’avvicendamento tra Giosuè Poli e Primo Nebiolo alla presidenza della FIDAL o se preferite della svolta, che segnò la fine di una fase di transizione, quella che aveva coinciso con la dipartita prematura di Bruno Zauli e il rilassamento post Roma 1960. In questi giorni (5 aprile) ricorre il cinquantesimo anniversario della morte di Poli, corrispondente di fatto con l’avvicendamento di Nebiolo, scontato dopo il periodo di reggenza Brunori. Ebbene sì, è passato mezzo secolo da quel 1969, anno fatidico che cambiò la sorte di molti di noi, della stessa Federatletica e non soltanto. Lui, Giosuè, molfettano, già atleta polivalente, dirigente, con la doppia passione per il calcio prima con la ULIC ( la giovanile Unione Libera Italiana del Calcio) poi con la FIGC , l’impegno per il CONI barese e per l’atletica, sino ad esserne per tre mandati il Presidente, dopo aver traguardato il ruolo di consigliere e di vice, tra il 1963 e appunto il 1969. Devo ammettere che, soltanto adesso, a distanza siderale di tempo, rileggendo soprattutto quanto scritto a proposito del suo stato di stress dal Presidente “emerito”, il generale Gaetano Simoni, mi rendo conto di quanto la passione, il sentimento viscerale per le cose, che si amano fino in fondo, senza ipocrisia, possa condizionare l’esistenza, appunto la vita di ognuno di noi sino alla estrema conseguenza. Sì, probabilmente quel moto tempestoso, che insorse come “Rinnovamento “, non poteva e non tenne conto di inimmaginabili fragilità nel roccioso Capitano di lungo corso e nell’acciaioso Pasquale Stassano, altro sopravvissuto dell’era Zauli, altro uomo temprato nella dura fase di passaggio, che sarebbe deliberatamente volato in Borea appena tre anni dopo. In effetti, se i dubbi oltre ogni ragione di quella tormentata notte tra il 22 e il 23 febbraio 1969, che indussero taluni dei “rinnovatori” (riuniti nella sede del CUSI in via Filippo Corridoni) ad un accordo senza senso con Ermenegildo De Felice, per conto della Libertas e del vertice federale in uscita, non avessero portato lo stesso Nebiolo ad un improvvido ritiro della candidatura, non avremmo avuto poi il successivo Congresso Straordinario a dicembre, quando io stesso fui eletto in Consiglio con Giancarlo Scatena, al posto di Luciano Barra (segretario generale) e dello stesso Primo Nebiolo . Diversamente, se Poli non fosse mancato appena due mesi dopo la riconferma, si sarebbe andati avanti con un gruppo dirigente innovatore a larghissima maggioranza ed un Presidente che non condivideva le loro istanze. Beh, la storia la conoscete, perché poi dal dicembre di quel fatidico 1969 partì il nuovo corso, secondo l’ambiziosa filosofia di Nebiolo, quella che avrebbe portato la FIDAL e il suo nuovo gruppo dirigente in vetta al sistema sportivo nazionale e internazionale, salvo il CUSI ed il CONI. Forse, adesso che la clessidra ha perso gran parte della sabbia, occorrerebbe riflettere su quanto di effimero abbiamo trasferito nella nostra comune storia, dove il discendere di quegli infinitesimi innumerevoli granelli aveva suggerito allo stesso Poli il titolo autobiografico: “La fuga del tempo.”
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