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LA SAGA DI MENNEA E LA FICTION

MENNEA FICTION
(31 MARZO 2015) Cari amici, la fiction è la fiction e quindi, di fronte all’ennesima visione di una storia piena di situazioni e fatti non veri, di cattiverie e melensaggini, com’è giusto che sia per uno spettacolo televisivo in competizione per l’audience e destinato al grande pubblico, lo confesso, ho avuto il classico “abbiocco” del dopo-cena + tv. Comunque, ho potuto riflettere più approfonditamente sul baffuto Masi e sono giunto alla conclusione che gli autori e in particolare Simona Izzo abbiano mutuato da una famosa promozione pubblicitaria degli anni ’80, destinata alla camicia con il collofit, l’idea di trasformare la FIDAL nella “federazione con i baffi”. Naturalmente, ho subito messo in pratica il suggerimento (per capire l’effetto che fa) e devo dire che mi sono divertito, immaginando l’identikit del Masi con foto “segnaletiche” n. 1, 2, 3, attraverso le quali vi invito a identificare i presunti “colpevoli” di intralciare la carriera di Pietro e la positiva evoluzione del glorioso periodo federale, dal 1969 al 1988, giustappunto l’intero arco della vicenda Mennea, salvo il primo anno, il 1968, quando a seguirlo ero io, responsabile del Settore Nazionale Sport dell’Associazione Italiana Circoli Sportivi, oggi Associazione Italiana Cultura Sport (AICS). A dire il vero, la mia empatia per Pietro Paolo segnalato dal Presidente dell’AVIS, Ruggero Lattanzio e strappato al calcio da Angelo Marchisella, personaggio della marcia pugliese, aumentò di botto quando mi resi conto che avevamo in comune la professione del padre, quella di sarto. Quando Lattanzio e il suo collega medico di Bari, Nicola Oberdan Laforgia, mi parlavano delle difficoltà familiari, del contesto non favorevole ad un adeguato sviluppo fisico in cui il ragazzo cresceva, rammentavo quanto mio padre andava sostenendo, ovvero quanto non fosse giusto che gli artigiani, all’epoca, fossero soggetti alla “morta stagione”, alla mancanza di previdenza sociale e di assistenza medica. Per di più, a Barletta, i ragazzi di Marchisella e Putilli, inesorabilmente indirizzati sulle orme di Dordoni, non avevano a disposizione altro che la strada. Autorino e Mascolo vennero dopo, nel 1968 portarono Pietro a vincere tra gli “allievi” con la 4×100 a Termoli e nel 1969, ai Campionati Nazionali AICS di Salerno, dove bissò le vittorie nei 100 e 300 (10.8 – migliore prestazione italiana allievi eguagliata – e 35.2) come Franco Fava (1000 in 2.36.2 e 2000 in 6.00.0). Della esperienza salernitana, Pietro raccontava di aver avuto l’opportunità di bissare i pasti, oltre le vittorie. Naturalmente, il mio ruolo di dirigente, a contatto di Lattanzio e del generosissimo Laforgia (in quanto Presidente provinciale dell’AICS finanziava personalmente le trasferte dell’AVIS) mi consentiva di conoscere dettagli riservati e delicati che, debitamente contestualizzati, oggi mi fanno valutare diversamente anche la mia storia personale: io ero quello che perorava la causa di “Pierino” quando ancora non ero in Consiglio (1968-69) e poi da Consigliere eletto nell’Ufficio di Presidenza dal 1970. Non ripeto l’episodio incredibile del rifiuto di vedere correre Mennea da parte di Vittori al Trofeo Bravin 1969, ma posso ricordare che lo stesso anno, ai Campionati internazionali CSIT, dal 19 al 21 settembre sulla pista del Rastrello, in Siena, Pierino fu battuto inesorabilmente dal belga Peseleux sui 100 e i 200, mentre la 4×100 fu addirittura squalificata. Nel 1970, ultimo mio anno con i baffi, prima di passare alla barba, io e Giampiero Casciotti guidammo la Nazionale Junior in Finlandia, a Lapua, dove Mennea alla sua prima trasferta internazionale e la squadra ebbero grande successo. Mancavano ancora due anni ai Giochi di Monaco e un anno agli “Europei” di Helsinki, Mennea ancora non godeva della guida tecnica di Vittori, ma era già un grande talento espresso sul campo. Ancora vestiva la maglia dell’AVIS/AICS e vi posso garantire che meritava tutto il nostro affetto e sostegno. Che Pietro avesse un carattere particolare, quella rabbia permanente che lo rendeva silente e determinato, prima, durante e dopo la gara, concentrato e mai rilassato, nemmeno un centimetro prima del filo di lana, lo posso confermare. Anche per questo, che si insista tanto sul mitico virtuale confronto con Tommie Smith, piuttosto che con l’altro colosso della nostra storia atletica e della velocità mondiale ed olimpica, Livio Berruti, con cui ebbe un rapporto pessimo, lo trovo distorcente e una occasione mancata per la fiction. Ma di questa ed altre storie “vere” scriveremo e parleremo ancora per un po’. Certo, non posso non chiedermi come possa insorgere improvvisamente una “fiction”, che getta nella gogna mediatica venti anni straordinari della storia sportiva e del costume del nostro Paese – con conseguenze d’immagine anche per il periodo attuale – e non ci sia un minimo di consapevolezza del danno irreversibile provocato nell’immaginario collettivo, catturato in “prima serata” attraverso il principale canale della RAI. Fiction o non fiction, questa idea della FIDAL con i baffi mi pare al contempo furba e perversa : lo dicono per finta, ma di fatto sul serio, che dentro i palazzi dello sport c’erano e ci sono tanti dott. Masi. Qualcuno ha già scritto: ” Chi se ne frega del taroccamento, perchè è stata una bella occasione per rivedere la grande atletica in tv e soprattutto gli emozionanti video delle volate vittoriose di Pietro. Se fosse stato soltanto per questo, la Regione Puglia avrebbe potuto risparmiare quattrocentomila euro e la RAI avrebbe potuto mandare in onda “MENNEA SEGRETO” di Emanuela Audisio…
Ruggero Alcanterini

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Ruggero Alcanterini

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