È di un bel colore rosso pompeiano e domina il bivio, la grande casa che divide in due strisce grigie il nastro di catrame: una a destra va verso la Maremma e l’altra a sinistra si dirige verso il mare. In mezzo, la Cantoniera rivive. Merito di un romanzo scritto con il garbo di un uomo d’altri tempi com’è Lanfranco Cesarini. Titola “La casa sul poggio” e il medico di base romano nato a Roma l’ha pubblicato a sue spese. Credendo nell’opera di fantasia. Per piacere, per condividere, per ricordare. Cesarini? Nonostante la sua laurea in tasca, si presenta come un bravo scrittore di storie leggere. Non è la prima volta che l’autore infatti si cimenta nell’arte del racconto, ma questo per me è il suo debutto, visto che è la prima volta che ne leggo un’opera. Garbata e scritta con caratteri tipografici di facile lettura, la storia corre via come l’auto che porta Giacomo sul poggio. Ma è a Lanfranco che va il merito di averci accompagnato in quei tornanti in salita, seguiti dal lungo rettilineo, per catapultarci agli albori del Novecento, in un lembo di terra tra Lazio, Umbria e Toscana. Con dolcezza. Con rispetto. Con la morale, i valori e un mondo d’altri tempi creato a uso e consumo di una famiglia che rivive attraverso oggetti, foto e ricordi del protagonista, rendendo merito ai nostri avi, alle nostre origini e alla forza dell’amore. Lo ha scritto bene anche Paolo Mariotti nella presentazione del volume, dove le 98 pagine terminano con una richiesta a voce da parte del dottore: dare un contributo, anonimo e volontario, prima di portare via dalla sala d’aspetto il libro. Il motivo? Senza prezzo di copertina, il valore al libro che il paziente è chiamato a dare è stato devoluto in beneficenza all’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù Onlus. E l’accredito c’è stato. Settecentosettantatre euro in beneficenza, derivante dalla solidarietà dei suoi pazienti e dal suo racconto. Così il discorso torna alla storia. Frutto della fantasia, se non fosse per la casa cantoniera che esiste realmente, ne ha protetta di gente. Sono oltre cento anni che le sue fondamenta la sorreggono. Lei? Non ha una crepa. Eppure quanti esseri umani ha avuto nelle stanze. Li ha sentiti parlare, dormire, sospirare, litigare. Odorava ancora di vernice quando ospitò i primi abitanti. Poi venne il tempo in cui la gente assiepata nel giardino alle finestre aspettava di veder passare le automobili con dentro il rebasetto e la regina. Pochi anni dopo, tornarono tutti vestiti di nero, ma non per un funerale. “La banda del paese suonò l’inno di Mameli quando passò la Lancia nera. Tutti alzarono il braccio destro con la mano tesa in segno di saluto. Poi passò il vincitore della mille miglia, Tazio Nuvolari che sparì come un fulmine. La notte più brutta?”, parla in prima persona la “casa” sul finire del romanzo. “Il 12 luglio del ’43; bombardarono il poggio e la strada, che paura, che spavento”. Seguirono la fine della guerra, la nevicata del ’56 e altri avvenimenti che Giacomo, ultimo della stirpe, ricorda nella notte che precede la firma del rogito. È tornato per chiudere per sempre le stanze dell’intimità. La stessa intimità dove ci ritroviamo catapultati con rispetto, tra nonni, genitori e zii i cui tratti possiamo ritrovare nei componenti di altre mille famiglie italiane. Da leggere e ristampare, si spera che il libro sia ampliato in alcuni passaggi per trovar posto in libreria e nelle biblioteche di ciascuno di noi.
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