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DA ISTANBUL A ROMA, LA ROTTURA DEGLI SCHEMI – L’editoriale del Direttore

Qualcuno si chiederà quale sia la logica che unisce ancora le due Capitali dell’Impero, quello Romano d’Oriente e d’Occidente, naturalmente. Beh, sempre questioni di politica e di religione, quelle che da qualche migliaio di anni regolano gli algoritmi del nostro avventuroso divenire. Ed io voglio subito sgomberare il terreno da dubbi e illazioni, facendo scendere nell’arena o se preferire salire sul ring un Ministro della nostra Repubblica e segnatamente quello dello Sport e delle Politiche Giovanili, Vincenzo Spadafora. Diciamo che prendo spunto dalla sua decisione di intervenire al Consiglio Direttivo della Federazione Pugilistica Italiana e di anticipare in quella sede aspetti attuativi della nuova Legge Delega appunto allo Sport, per evidenziare come questo sia il momento di prendere drastiche decisioni, perché ogni tergiversare riscontra la deriva di morte, che si è riattivata non appena le maglie dell’emergenza Covid si sono allentate. Mi riferisco adesso Flavio e Gianluca, vittime di un micidiale mix al metadone, che per il controvalore di quindici euro, a Terni, sono stati immolati sull’altare della pavidità e dell’opportunismo, quella che ancora oggi – nel bilancio dello Stato – mette in secondo piano la fondamentale funzione della principale agenzia educativa, la Scuola e in particolare la Primaria, laddove ai ragazzi si continuano a negare attività motoria, medicina scolastica ed educazione civica per ragioni economiche e d’ordinamento, quando abbiamo il settanta per cento dei laureati in scienze motorie senza impiego e i bonus si sprecano. I bambini, prima ancora che i ragazzi, devono sapere cosa li attende dietro l’angolo, perché siano in grado di difendersi dai cattivi maestri e diversamente fare scelte a fronte di giuste opportunità. Ma cosa c’entra Istanbul in questo? C’entra emblematicamente per il carattere iper decisionista del Presidente Erdogan che, fregandosene di lamentazioni ipocrite , ha ristabilito il ruolo di Moschea Blu per Santa Sofia, peraltro musealizzata da Ataturk e riconosciuta patrimonio della cultura mondiale per i suoi tesori architettonici e musivi bizantini. Lui, il Premier turco, è convinto di fare la scelta giusta, come avvenne per il Colosseo che, dopo secoli di eccessi ludici, tra il VI e il VII accolse la Chiesa di Santa Maria della Pietà e poi per il Giubileo del 1675 divenne per intero luogo sacro in memoria dei martiri cristiani. Nel 1744 Papa Benedetto XIV chiuse la partita facendovi costruire le quattordici edicole della Via Crucis, e cinque anni dopo dichiarando l’Anfiteatro Flavio Chiesa consacrato a Cristo e ai martiri cristiani. Dunque una vecchia ricorrente storia, quella del riuso dei monumenti, come capitato per il Pantheon e per i Mausolei di Augusto e Adriano, divenuti teatro Corea e fortezza rifugio dei Papi, per lo Stadio di Domiziano trasmutato in Piazza Navona dal Bernini. Per questo, però, per capire meglio quel che regola la dimensione romana, la filosofia di vita che si fa croce e delizia per noi tutti, mi affido alle visioni di Johann Wolfgang von Goethe, durante il suo soggiorno nel 1787…

«Incantevole è soprattutto la vista del Colosseo, che di notte è chiuso; all’interno, in una cappelletta, vive un eremita e sotto le volte in rovina si riparano i mendicanti. Essi avevano acceso il fuoco sul terreno del fondo, e un venticello spingeva il fumo sopra tutta l’arena, coprendo la parte bassa dei ruderi, mentre le mura gigantesche torreggiavano fosche in alto; noi, fermi davanti all’inferriata, contemplavamo quel prodigio, e in cielo la luna splendeva alta e serena. A poco a poco il fumo si diffondeva attraverso le pareti, i vani, le aperture, e nella luce lunare sembrava nebbia. Era uno spettacolo senza l’uguale. Così si dovrebbero vedere illuminati il Pantheon e il Campidoglio, il colonnato di S. Pietro e altre grandi vie e piazze. E così il sole e la luna, non dissimilmente dallo spirito umano, hanno qui tutt’altra funzione che in altri luoghi: qui, dove il loro sguardo è fronteggiato da masse enormi, eppure formalmente perfette.»

Ruggero Alcanterini

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