L’idea che Gimbo Tamberi sia una espressione allegorica dello sport, come metafora della filosofia di vita vincente, per me è sempre più forte e chiara.
Ieri, ho condiviso un suo video dalle intenzioni autogene ed oggi rifletto sul fatto che pur non coronando il miracolo, lui ha comunque raggiunto un risultato di livello pressoché impossibile per i comuni mortali.
Diciamo che la sua carica di ottimismo della volontà è quanto meno pari alla sorte avversa , …quella lesione alla caviglia che giusto un anno fa gli aveva impedito di volare in quel di Rio e che ieri per una inezia lo ha lasciato fuori dalla finale a Londra.
In questo, ha molto in comune con Valerij Nikolaevic Brumel che, dopo l’argento di Roma nel 1960, a soli 18 anni, conquistò l’oro a Tokio quattro anni dopo e che con l’antico stile ventrale, dal 1961, portò il primato mondiale a 2, 22 e poi su su fino a 2,28, ma poi, a soli 23 anni, finì in sala operatoria per un gravissimo incidente d’auto.
Tornato in pedana soltanto quattro anni dopo, reduce da pesanti interventi chirurgici, Valerij riuscì comunque a ancora a dar prova della sua classe e della sua caparbietà, la stessa di Gimbo che deve arrivare ai prossimi Giochi di Tokio con l’idea straordinaria di dover gettare il cuore oltre l’asticella, per raccogliere proprio su quella pedana eredità e scettro del più grande saltatore del Novecento.
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