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“Gli strani ricordi del sig. Brown”

“GLI STRANI RICORDI DEL SIG. BROWN”
di Roberto Minervini
PRESENTAZIONE
Il mondo sta cambiando perché comincia a dubitare della correttezza dei suoi “modelli di sviluppo” E’ quindi in atto, già da molti anni, un “ripensamento culturale” per trovare, fra espansione demografica, limiti allo sviluppo, crisi economica e rivoluzione climatica, una migliore collocazione del genere umano sul pianeta. Specialmente dopo che Darwin ha catapultato l’uomo fra gli animali.
I movimenti ecologisti, diventati poi anche forza politica in diversi Paesi nel mondo, si sforzano di trovare soluzioni all’invadenza umana sulla terra nella maniera a loro più congeniale: cercando di sollevare attenzione e di scuotere coscienze.
In questo romanzo, che segue il tracciato darwiniano, è l’uomo (cosa unica nel suo genere) che è costretto a confrontarsi con il “modo di essere e di sentire” di un albero, di un insetto, di un lupo, di una pianta in un vaso… Una visione del mondo dei viventi “rovesciata” quindi dove, attraverso una narrazione in cui l’approccio scientifico si mescola a quello letterario, uno di noi “pensa” come “loro”.
Breve curriculum vitae dell’Autore
Roberto Minervini nasce a Bari nel 1950, si laurea a Roma in Biologia e si specializza come Biologo Marino dedicandosi a questa attività come professionista e ricercatore scientifico. Per un lungo periodo risiede a Roma, fonda diverse società e gira il mondo soprattutto per lavoro. A partire dal 2002 viene chiamato ad insegnare in alcune Università italiane (Napoli, Siena, Viterbo) e diventa Responsabile Scientifico di Accademia Kronos nel 2007. Nel frattempo scrive molto, sia per lavoro che per diletto. Degne di rilievo la pubblicazione di un romanzo (”E VENNE PRIMAVERA”, Annulli Editori), la produzione di articoli per riviste specializzate e non, e la conduzione per molti anni di una rubrica per VITA IN CAMPAGNA de L’Informatore Agrario Editore. Attualmente continua la sua attività professionale per mare, alternandola con attività “agricole” nella campagna umbra. La mia storia è cominciata in un lontano passato, non so dirvi neanch’io esattamente quando perché i miei primi ricordi di allora sono confusi, forse troppo distanti nella mia memoria. Non so neanche perché proprio a me, forse solo a me, sia stato assegnato il privilegio di ricordare.
Solo una volta, alcuni anni or sono, ho incontrato un altro essere umano che forse era come me, con tutti i ricordi.
Lo incontrai in un supermercato, era una signora e ci siamo quasi scontrati alla fine di due corridoi paralleli quando abbiamo voltato con i nostri carrelli l’uno contro l’altra. Ci siamo guardati e fu come se ci fossimo subito riconosciuti. Lei ne rimase sorpresa e poi, spaventata, lasciò tutte le sue cose e, quasi correndo, andò via.
Quella donna forse ricordava anche lei, ma non voleva che gli altri sapessero.
Da quel giorno mi sono continuamente chiesto quanti siano gli umani che hanno ereditato questa facoltà e perché si nascondono?
Perché non la considerano un dono da condividere con tutti gli uomini della terra per dare un senso diverso alla nostra vita ed a quella di tutti gli altri viventi?
Per questo voglio raccontarvi di me, come se fosse una missione particolare affidatami non so da chi, ma che ritengo di importanza straordinaria, almeno così oggi mi piace credere.
Sono convinto infatti che i ricordi delle mie vite passate in altri viventi possano portare un contributo determinante alla consapevolezza umana ed alla vera conoscenza delle tante vite che affollano questo pianeta.
Quello che vi racconterò avrà però il difetto di essere “umanizzato” nei concetti e nelle sensazioni. Di questo chiedo venia a coloro che ritengono appartenere all’uomo, e a lui solo, la capacità di provare affetti, sensazioni profonde, deduzioni logiche ed il senso del tempo passato e futuro.
Da parte mia, senza entrare in cavillose quanto noiose e forse anche inutili dissertazioni sulle mie esperienze a riguardo, voglio solo informare chi mi legge che quando si è un vivente non umano non si ha nessuna sensazione di insufficienza emozionale o intellettiva.
Voglio pensare quindi ai miei ricordi come a messaggi diretti all’uomo da tutte le altre specie del pianeta ed intendo raccontarvi alcune mie vite cercando preferibilmente fra quelle che hanno avuto un qualche contatto con l’uomo, anche se in epoche remote, o che possano essere meglio comprese dagli umani. E’ questo il compito che voglio assumermi e cercherò di trasmettere al meglio le mie esperienze passate, ma, allo stesso tempo, mi auguro che le mie prossime trasmigrazioni avvengano in esseri non umani.
L’IMPORTANZA DELLO SPAZIO
Uno dei miei ricordi più lontani è collegato a quando un colpo di vento fece incontrare alcuni granelli di polline con un fiore di un albero di quercia. Parlare di fiore, anche nel caso di una quercia, potrà sembrare un complimento, ma in effetti anche le querce fioriscono.
Certo è un fiore inapparente e che non profuma (almeno per
noi), ma è pur sempre un fiore da cui sono poi nato io.
A quello stadio primordiale di embrione, sotto forma di ghianda, non ho vissuto esperienze degne di menzione, anche quando in inverno caddi al suolo, assieme a tante altre, non avvenne assolutamente nulla.
Le piante poi, rispetto ai funghi ed agli animali, hanno “logiche” completamente diverse, tanto che è imbarazzante e difficile descriverne, da umano, le loro sensazioni, le reazioni ed i loro comportamenti.
Quello che soprattutto non collima con il mondo animale sono i tempi. Le piante hanno un loro modo di apprendere e di comunicare, ma lo fanno in maniera così lenta e diversa, rispetto al mondo animale, che ci appaiono quasi sempre degli organismi insensibili e completamente alieni al nostro mondo mobile ed immediatamente reattivo.
La loro fissità ed il fatto che comunichino soprattutto per via chimica sono elementi che ce li allontanano in maniera quasi irraggiungibile.
Eventi che andavano tutti affrontati non essendo mai contemplata, e non potrebbe essere altrimenti, l’ipotesi della fuga.
E’ questa la grande forza dell’albero, comune, salvo particolari eccezioni, a tutti i vegetali dotati di radici e che condividono dentro di loro un forte senso d’invincibilità.
Certo può apparire difficile parlare in termini di autocoscienza riferendoci a un vegetale, ma io, che da vegetale ho vissuto più volte, vorrei provare a spiegarmi nonostante le particolari difficoltà del caso.
GLI STRANI RICORDI DEL SIG. BROWN (Tutti i diritti riservati)
di Roberto Minervini
Sono il sig. Brown e sono un impiegato al comune di una piccola città di provincia di cui preferisco non dire il nome. Il motivo della mia riservatezza vi sarà presto evidente scorrendo le prime pagine di questo mio scritto.
Non crediate comunque che vi sia da parte mia una qualsiasi voglia di protagonismo, né tanto meno il desiderio di attirare la vostra attenzione su di me.
Chi mi conosce sa che ho sempre vissuto in maniera piuttosto schiva ed appartata, non mi sono mai sposato e conduco, da scapolo, quella che potrebbe essere considerata una vita normale o, se preferite, banale.
Non credo di essere un brutto uomo, né tanto meno gravato da qualche importante difetto caratteriale, anzi, credo che, in condizioni normali, potrei far felice una eventuale compagna della mia vita. Ho sempre pensato però che i miei ricordi mi avrebbero comunque condizionato ed impedito di far felice chiunque mi fosse stato accanto.
La mia solitudine è dunque solo una scelta di opportunità dovuta ad una mia speciale condizione.
Ciò che leggerete in queste pagine, per quanto particolare o straordinario potrà apparirvi, è assolutamente vero. Provate infatti ad estraniarvi dalla vostra quotidianità, dai vostri luoghi comuni e dalle vostre abitudini di pensiero e provate ad accettare, senza riserve, quanto sto per raccontarvi.
Ogni organismo che ho “visitato” nel mio percorso possiede sue precise caratteristiche di sensibilità e di pensiero ed un senso del tempo che si armonizza perfettamente con la tipologia della specie e del ruolo che svolge in Natura.
Queste caratteristiche, poiché quasi sempre troppo diverse da quelle dell’uomo, sono per quest’ultimo incomprensibili, così come lo sarebbero per altre specie.
Ogni essere quindi opera secondo logiche e sensazioni frutto della propria evoluzione e non comuni alle altre tipologie di viventi.
Quello che vi suggerisco pertanto è di non affermare mai che l’uomo sia l’unico sulla terra capace di pensare e di provare sentimenti. L’uomo prova i “suoi” sentimenti ed opera secondo la “sua” logica. Altri viventi operano seguendo le loro anche se, per la Natura, l’unica vera logica vincente è quella della maggiore durata di una specie sulla terra e noi per esempio, rispetto ad una tartaruga, abbiamo solo appena cominciato.
Chi crede che il tempo scorra infinito è in errore, il tempo non scorre, ruota continuamente su se stesso e nel turbine che genera si avvicendano e si mischiano tutte le storie dei viventi che in realtà non muoiono mai, si alternano solo di ruolo passando da un’esperienza di vita all’altra, senza soluzione di continuità.
La vita infatti è un particolare tipo di energia che non si esaurisce mai, generando all’infinito viventi ed alimentandosi dalla fine di un ciclo per cominciarne subito un altro e senza differenti livelli qualitativi, tutte le tipologie di vita meritano egualmente di essere vissute.
Chi coordina tutto questo, se qualcuno lo coordina, non mi è dato saperlo, né so se questo processo sia infinito. Francamente mi augurerei di no.
Dovete sapere infatti che, quando si nasce umani, il ricordare tante vite già vissute indebolisce il gusto del vivere perché la nostra specie possiede una spiccata capacità di analisi trascendentale.
E’ infatti da quando sono diventato umano che i miei ricordi si sono trasformati in macigni ed incombono sulla mia mente. Quando sono stato altri viventi i miei ricordi erano affievoliti e costituivano solo un lontano “rumore di fondo” della mia esistenza.
Per capire un albero ad esempio bisogna aver vissuto da albero e si scoprirebbe come siano capaci di rapportarsi al mondo e di come nel mondo occupino spazi insostituibili.
Ricordo che una delle mie prime sensazioni di vita attiva che provai a quel tempo fu quando la ghianda cominciò ad idratarsi al contatto con il terreno bagnato.
Ero sotto uno strato di foglie umide ed il mio turgore diventò tale che spaccai l’involucro della ghianda e subito cercai, con un robusto sperone radicale, di entrare quanto più profondamente potessi nel terreno per garantirmi una sufficiente e duratura umidità.
La vita di una pianta è basata sull’acqua e sulla luce, ed io, d’istinto, lo sapevo. Non era in realtà una vera consapevolezza, era piuttosto una cosa che dovevo fare perché rispondevo a degli stimoli a cui non potevo sottrarmi.
L’umidità mi gonfiava e se mi gonfiavo dovevo produrre una grossa e forte radice che doveva penetrare in profondità per assicurarmi l’acqua e se avevo l’acqua, e la temperatura lo consentiva, dovevo produrre le prime, piccole foglie e se avevo ancora umidità dovevo fare altre foglie distribuendole sui rami in modo da poterle allargare verso la luce e se avevo … Così ”ragiona” un albero, lo fa sempre in maniera conseguenziale ad una serie di eventi esterni e, ora posso dirlo, non potrebbe essere altrimenti dato che è legato al suo metro quadrato di terreno per tutta al sua esistenza e deve adeguarsi continuamente alle condizioni del momento.
In genere ha molte occasioni per interagire attivamente con il mondo esterno, ma quando lo fa la cosa avviene così lentamente che spesso le condizioni a contorno sono già mutate nel frattempo e quindi i suoi comportamenti corrispondono sempre ad un “media” di stimoli in un certo lasso di tempo.
Ricordo soprattutto che, a parte un periodo iniziale di crescita governato da una certa “ansia da sviluppo”, il resto della mia vita fu pervaso da grande quiete e serenità. Non c’era quasi mai infatti quel senso, tutto animale, di continua attenzione e preoccupazione rispetto al mondo ed alla vita circostante.
Da albero vivevo nella lenta e solenne sensazione di essere un organismo certamente immobile, ma assolutamente in grado di sopportare e di reagire agli eventi negativi che mi potevano capitare.

Linda Di Benedetto

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