Ecco, in poche battute, intorno alla vita di Marco Valerio Marziale, che mi si forma la visione chiara, chiarissima di come la metafora della vita e dei suoi algoritmi si possa sintetizzare nella sua e nel suo periodo, nella sua esperienza non di immigrato, ma di cittadino romano nato e morto ad Augusta Bilbilis nella Hispania Tarraconensis, dopo un significativo passaggio per la Città Eterna. Diciamo che lui negli anni ottanta del primo secolo godeva di diritti e privilegi di tipo “europeo” ben maggiori di quanto si possano ambire oggi. Ma perché mi aggancio alla figura del grande poeta? Perché mi sento coinvolto come lui da fatti e misfatti, da vicende che segnano il decorso della nostra esistenza come un continuo algoritmo e che, come capitò con Vespasiano e Tito, quindi con Domiziano, comportarono e dovrebbero comportare esperienze ed opportunità degne di essere vissute. Lui arrivò a Roma dopo il devastante incendio del 64 , fu presente alla grandiosa inaugurazione dell’Anfiteatro Flavio nell’anno 80 e scrisse l’epigramma sul duello tra Verus e Priscus, i due massimi gladiatori, che finirono alla pari lo scontro e per questo gratificati entrambi dall’Imperatore e dal popolo romano con la spada di legno e la palma, segni distintivi riservati ai vincitori. Credo che Marziale abbia vissuto quella formidabile emozione grazie alla congiuntura astrale che gli consentì di essere al posto giusto al momento giusto, come capitò a coloro che come me diciotto secoli dopo furono coinvolti nei XVII Giochi delle Olimpiadi moderne, sempre a Roma, all’Olimpico nel Foro Italico, dove una delle vie d’accesso reca giustamente il ricordo di quegli uomini straordinari, com’erano e come sono i gladiatori, nell’arena e nella vita. Marco Valerio era beneficiario della considerazione di Tito e lo fu anche del fratello Domiziano, che ebbe il merito assoluto di far costruire lo Stadio more greco, la cui memoria oggi continua a riposare gloriosa sotto la splendida Piazza Navona.
…“Oh fausto giorno natalizio di Cesare, più sacro di quello in cui l’Ida,
consapevole dell’avvenimento, diede al mondo il ditteo Giove,
vieni lungo, ti prego, e più numeroso di quelli della vita di Nestore,
e risplendi sempre con un volto come questo o ancora più bello.
Possa egli onorare per molti anni Minerva
per mezzo della corona aurea di Alba, e moltissime corone
di quercia passino per le sue mani possenti;
possa egli onorare le età che si rinnovano
al ritorno del grande lustro e i sacri riti che si svolgono
nel romano Tarento. Sono grandi veramente, oh Dèi,
questi favori che chiediamo, ma sono dovuti al mondo:
quali voti sono eccessivi per un così potente Dio?”…
Così si esprimeva il Poeta nei confronti dell’Imperatore Domiziano e non c’è ombra di dubbio che i versi avessero intento adulatorio, ma tant’è, trovatemi un altro che costruisca al centro di Roma un monumentale teatro per l’atletica, bello tanto quanto il Colosseo e poi ne riparliamo. Ma, in buona sostanza, voglio mandare un avviso ai naviganti, ovvero che la vita vale la pena di essere vissuta fino in fondo, qualsiasi ne sia l’esito, prevedibile o meno; che bisogna avere il coraggio di affrontarla nella buona e nella cattiva sorte; che chi governa abbia la dignità di farlo in nome del bene e del vantaggio comune; che siano riconosciuti i meriti, almeno quanto i bisogni. Per questo, oggi mi sento di onorare i gladiatori, quelli che non rinunciano e non si rassegnano pur di fronte alla lapidaria alternativa di “vivere o morire”. Questa è la mia Epifania !
Ruggero Alcanterini
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