Credo che dedicare un sol giorno, magari particolare, a questo o quel dettaglio anche macroscopico della umana storia, sia importante, forse fondamentale, per radicare fatti, personaggi, modalità del commemorare, che finiscono per creare utile consapevolezza, anche se soltanto riflessa, per forza delle cose e del tempo non diretta. In poche parole, oggi ricorre il giorno dedicato alla memoria, alla Shoah, ovvero allo sterminio subito dagli ebrei nell’Europa della prima metà del Novecento, quando negli anni trenta-quaranta il nazismo scatenò la Seconda Guerra mondiale con una conseguente pandemica occupazione dei territori . Si calcolano in circa sei milioni le vittime di religione o di origine ebraica, su di un totale allucinante di circa quindici, tra minoranze religiose, etniche, culturali, politiche, rastrellate ovunque, concentrate principalmente nei campi di Chełmno, Bełżec, Sobibór, Treblinka, Majdanek, e Auschwitz-Birkenau , uccise col gas, dopo sofferenze immaginabili, distrutte per quanto possibile nei forni a carbone, quindi trattate finanche con macchine tritaossa. Il Campo di Dachau fu il primo ad essere creato sin dal 1933 – tre anni prima dei Giochi Olimpici di Berlino – ed era situato ad appena 16 chilometri da Monaco di Baviera, dove si sarebbero tenuti di nuovo in Germania i Giochi nel 1972, come occasione di riconciliazione e di pace. Fu in quella occasione, invece profondamente segnata dal terrorismo e da altre vittime dell’odio razziale, politico, religioso, che io ebbi l’opportunità di visitare il Campo nella sua inquietante integrità , con tutto ciò restava e resta a testimonianza di quella incredibile follia degli uomini : vi garantisco che per me fu importante, più di quanto mi sia capitato poi nel 1981, quando pienamente consapevole visitai a Gerusalemme il Mausoleo Yad Vashem , dedicato alla “tempesta devastante”, appunto alla Shoah. E voglio aggiungere che forse sarebbe giusto ed opportuno ricordare permanentemente le vittime di azioni di pulizia etnica compiute nel passato, come nel presente, nelle più diverse forme palesi e dissimulate, anche in anni recenti, appena venti anni fa nell’area balcanica. Oggi, con una Europa asimmetrica e priva di autorevolezza per l’antico prevalere degli egoismi nazionali, il Mediterraneo è teatro di tragedie quotidiane conseguenti a guerre avventate, terrorismo, pirateria , dispotismo, sempre sulla pelle di popolazioni a rischio di sterminio, dallo Yemen, alla Siria, alla Libia. Ma non dimentichiamo che le popolazioni indigene dell’Amazzonia, come tutte le altre originarie di ogni parte del mondo in cui si trovano risorse atte alla speculazione economica, continuano ad essere vessate ed eliminate con qualsiasi mezzo. Prassi comune con chi fece strame dei nativi nell’America del Nord, piuttosto che delle civili popolazioni di cultura precolombiana in quella del Centro o del Sud, sostituiti come forza lavoro con una biblica migrazione di schiavi dal Continente Africano, mentre le politiche coloniali annichilivano gli aborigeni in Australia e coronavano le ambizioni imperialistiche in lungo e in largo per la terra asiatica. Ecco, passando per l’orrenda esperienza delle popolazioni istriane stravolte dalle deportazioni in alternativa alle foibe, frutto del cinismo dei vincitori sui vinti, a Yalta settantatré anni fa, alla mancanza di temperanza e lungimiranza, approfitto per rivolgere il pensiero a coloro che immaginarono e concretamente si adoperarono per una Europa diversa, giusta e pacificata e che lo fecero in regime di costrizione, lontano dai propri affetti e in pericolo, ovvero Mazzini, i fratelli Rosselli , Pertini, Spinelli, Colorni, Lussu, Cianca, Nitti… da Londra a Parigi, piuttosto che a Ventotene o a Regina Coeli. Forse è proprio la prova del dolore, quella che può esaltare il pensiero e portare all’azione, come capitò appunto ai federalisti e agli azionisti, cui dobbiamo molto della nostra rinascenza risorgimentale e repubblicana, quella che Carlo Azeglio Ciampi amava definire “Patriottismo Repubblicano”, anche secondo l’insegnamento di un gigante come Gaetano Salvemini, che affermava: “ Noi non possiamo essere imparziali. Possiamo essere soltanto intellettualmente onesti: cioè renderci conto delle nostre passioni, tenerci in guardia contro di esse e mettere in guardia i nostri lettori contro i pericoli della nostra parzialità. L’imparzialità è un sogno, la probità è un dovere “.
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