Care ragazze e ragazzi, giusto due righe al volo, volatili come le faville che ieri sera si sono portate via lo storico Ponte dell’Industria a Roma. Per quanto riguarda la mancia, penso ai poveri camerieri che vi dovranno rinunciare, a meno che i donatori non vengano premiati con uno scomputo nella dichiarazione dei redditi… Dunque, il Ponte al rogo. Non vi nascondo che ho un bel groppo nello stomaco, perché io i Ponti sul Tevere li ho conosciuti tutti, uno per uno, con i loro inghippi e mulinelli, per via della mia antica passione, la pesca. E da “fiumarolo” vi dico che questa notte è avvenuta l’ennesima morte annunciata. Il Fiume, una volta sacro ai Romani, è stato prima ridotto a collettore fognario, per via dei Muraglioni che lo hanno ingabbiato, sprofondato come lo Stige all’Inferno, estraniato dall’Urbe e strappato all’abbraccio di chi per millenni lo aveva amato, frequentato. Quindi, abbandonato all’incuria e alla invasione degli invisibili, quelli che disperati convivono con i ratti lungo le sponde inselvatichite. Provate a vedere le immagini del Tevere all’altezza del Ponte in ferro, costruito come il Gazometro e il Porto fluviale un secolo e mezzo fa. Da allora, le banchine pulite e la navigabilità sono divenute un ricordo lunare. In compenso, quel punto è divenuto stretto e complesso, una gola inforrata e ricettacolo di rifiuti, purtroppo anche umani, gli “invisibili”, appunto. L’attraversamento urbano lungo le sponde tiberine è comunque inquietante, ma sicuramente nel peggio ci si imbatte da Ponte Testaccio in giù. Proprio da quello che fu il Porto di Roma e dette origine al Monte dei Cocci, Museo a cielo aperto con milioni di anfore vinarie e olearie ordinatamente colà riposte dai nostri antenati, come non riciclabili. Scendere sulle rive, da quel punto in poi, sino al Ponte della Magliana non è raccomandabile passeggiata di salute. Sotto i Ponti, ogni buco, angolo, anfratto, ospita uno o più inquilini senza nulla da perdere. Ecco, avere ignorato il degrado, che in progressione geometrica ha avviluppato i luoghi remoti, ma anche molte aree centrali della Capitale, come sottopassi, mura, parchi pubblici, oltre il Tevere, non è stato altro che propedeutico a fenomeni estremi, come quello inaccettabile dell’incendio distruttivo di un monumento storico, come quello del Ponte dell’Industria, che avrebbe meritato ben altro destino.