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Elezioni, scripta manent

Elezioni: abbiamo un bel parlare, specialmente quando non ne manca l’occasione. Ma scrivere, scrivere, diventa impegnativo, non soltanto perché la forma potrebbe divenire sostanza, ma perché come affermavano i padri, “verba volant scripta manent”… Adesso che si prospetta la più infuocata e breve campagna elettorale della storia italica, siamo di fronte a raffiche di dichiarazioni, al prospettare di tutto e del contrario di tutto, nel tentativo disperato di mettere insieme un consenso, che presuppone il crescere dell’astensionismo, come elementare espressione del dissenso. Il mese di settembre ci ricorda circostanze controverse, storiche, in cui ci salvammo dal peggio per il rotto della cuffia, ma non senza spiacevoli conseguenze.

Il prossimo 25 di settembre non sarà come l’8 di settembre di ottantanove anni fa, quando il Generale Castellano firmò per conto di Badoglio con il collega americano Smith – la Dichiarazione di Armistizio, mentre cinquecento bombardieri erano pronti al decollo per spianare Roma… Ecco, adesso siamo di fronte ad una possibile analoga catastrofe per via finanziaria, ma esitiamo, lasciamo che il tempo si consumi nella confusione. Come scriveva Fenoglio in Primavera di Bellezza, nel 1958, tra un fottio di ordini controversi l’Italia stremata dalla Guerra si consegnò comunque in mani straniere, americane al sud e tedesche al nord, avviando l’ulteriore inevitabile travaglio con la Resistenza e la Guerra di Liberazione. Nel 1960 però fummo già in grado di organizzare i magnifici XVII Giochi Olimpici a Roma e il mondo meravigliato tirò giù il cappello.

La ripresa economica e sociale fu straordinaria e forse esagerammo, tanto da impensierire qualcuno, come era già toccato con spiacevoli conseguenze a Mattei, super competitor in materia d’energia. Poi dall’1981 cominciammo a mettere insieme debito pubblico, pur mantenendo alta la testa con Craxi e gli altri, ultimi eredi di una nervatura politica, di un modo di pensare e d’essere nato con il Risorgimento e compromesso forse irrimediabilmente proprio dal caos assoluto e la crisi d’identità ingenerate appunto dal fatale 8 settembre. Nel 1988, dopo la caduta del Muro, a Berlino, nel mondo cambiarono ancora equilibri, orientamenti e speed, innescando una fenomenale turbolenza, di cui siamo ormai trentennali vittime sacrificali. Diciamo che la globalizzazione ci vuole soggetti supini di un fenomeno esagerato di degrado della politica, cui dovremmo rispondere con adeguatezza. Avremmo bisogno di un vero progetto autoriale di rinascenza a medio e lungo termine, mentre siamo di fronte alla rappresentazione scenica di pateracchi, con eserciti in rotta e iene in caccia di prede.

L’Italia, ormai alla vigilia della quarta fase repubblicana, ancora non si è svincolata dalle residuali opacità di vicende controverse, di interferenze che l’hanno profondamente segnata il secolo scorso e che continuano a riverberarsi nell’attuale. Il vecchio armamentario divisivo ancora sopravvive nelle celebrazioni, non esclusa l’altra data storica settembrina, quella del 20, quando Cadorna fece breccia con i bersaglieri a Porta Pia, chiudendo il conto con l’ultimo Papa Re, Pio IX. Dunque, cosa volete che capiti il 26 di settembre, dopo una sola giornata di consultazioni, con quella che sarà la più bassa percentuale di voto della serie, con la elezione a sorpresa o la giubilazione traumatica di una quota rilevante tra chi è rimasto sul campo, dopo masochistiche decimazioni? Ecco, con l’improbabilità del futuro rappresentativo, chi vinca vinca, lo “scripta manent” potrebbe almeno definire e semmai vincolare l’impegno per un possibile futuro di estrema salvezza nell’usurato Italico Stivale…

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Ruggero Alcanterini

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Ruggero Alcanterini

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