di Ruggero Alcanterini
CRAXI E L’ITALIA DI IERI E DI OGGI… – Siamo nel pieno di una angosciante situazione di crisi, di palese inadeguatezza di governance per il Paese, nel peggiore periodo della sua storia repubblicana, giunta al limite estremo di una fase involutiva, la terza. Giusto un anno fa, ci proponeva l’inattesa ultima occasione di andare al cinema, prima della sciagurata pandemia, per assistere alla straordinaria, premiata trasmutazione di Pierfrancesco Favino in Bettino Craxi ed avere la possibilità di aprire il cuore e il cervello, la coscienza alla riflessione, come tanti naufraghi di ieri e di oggi, stravolti, spiaggiati da una storia perversa, da una tempesta che dopo trent’anni non smette di ringhiare, anzi rinforza. Così, venivano in qualche modo ricordati i venti anni della scomparsa del Leader socialista e i ventotto dall’inizio della catastrofe italiana in essere, ovvero quel che di peggio di giorno in giorno capita, da quando avvenne l’arresto di Mario Chiesa, presidente del Pio Albergo Trivulzio, dando praticamente l’avvio ad una azione sistemica di radicale lifting dei partiti storici, che soltanto a Milano portò ad indagare e in parte ad arrestare quattromilacinquecento quadri dei movimenti riferibili al Governo del Paese, ovvero di tutti i rappresentanti della politica, salvo quelli della Lega Nord, della destra storica e i vertici del PCI. I risultati e le conseguenze di quella mattanza, che si allargò velocemente a livello nazionale – con più assolti che condannati e che mise sotto uno schiacciasassi la Prima Repubblica – sono un dato oggettivo, ma ancora non siamo in grado di decifrarne compiutamente la ratio e il vero obiettivo , posto che la corruttela è sopravvissuta e cresciuta geometricamente a tutti i livelli e ben oltre i nuovi partiti, che sono passati dal finanziamento pubblico ad una complessa nebulosa, mentre il sistema super burocratizzato degli appalti, anche in virtù dei veti incrociati tramite TAR e negazione della qualità con la regola del massimo ribasso, hanno portato al massimo rialzo nei tempi biblici dei contenziosi, nonché al collasso di gestioni e servizi essenziali per i cittadini. Tre anni dopo l’arresto di Chiesa per una tangente di sette milioni e cinquecentomila lire, equivalenti a meno d quattromila euro, mi venne confidato da un commissario di PS di Milano, durante un convivio estivo da Pro Loco in Umbria, quello che poi i media raccontarono, facendone uno “scoop” a scoppio ritardato, ovvero che era tutto organizzato, che il trappolone era stato preparato con cura e che il Chiesa era soltanto il primo estratto della lista disponibile, quindi beneficiario di una busta con banconote siglate e fotografate, ascoltato tramite una stilo spia indossata dal “corruttore” e arrestato un minuto dopo l’avvenuta consegna del “malloppo”, in flagranza di reato. In conseguenza di quello start up, di quella azione decisa dal Pool di Milano, degna del migliore Ian Fleming e del suo fascinoso James Bond , prese avvio l’Operazione Mani Pulite e il sistema dei partiti italiani, fondato di fatto sulle tangenti, si accartocciò su se stesso e andò giù peggio delle case con il terremoto. Schiacciare quel pulsante rosso era un imperativo per la Legge, ma il combinato disposto, la “consecutio temporum” o se preferite più banalmente le conseguenze sarebbero state quelle classiche del fare di tutta l’erba un fascio, piuttosto che quelle dell’elefante in una cristalleria. Morti e feriti, imputati colpevoli e innocenti, tra politici e amministratori, con uno sputtanamento italico planetario, ma soprattutto gli italiani, come vittime del prima e ancor di più del dopo, per la discutibile gestione che si fece dell’operazione. Onestamente, stando ai risultati ad oggi conseguiti, va riconosciuto che la massima che sconsiglia la cura – quando poi si dovessero prevedere esiti peggiori del male- ha un senso, se consideriamo ( al di la delle giustificazioni dei soloni dell’economia, peraltro noti consulenti della finanza internazionale ) che i nostri guai sono iniziati giusto nel febbraio 1992 , quando l’Italia era a buon titolo uno dei Paesi leader della industria mondiale, di diritto nel G7 e soprattutto star dei prodotti di eccellenza, del turismo, della cultura e delle grandi opere nel mondo. Quando Raul Gardini, mecenate della vela con “Il Moro di Venezia”, sfidava a tu per tu gli americani nell’America’s Cup e irrompeva con le sue aziende a sostegno dell’agricoltura russa in crisi, non faceva certo piacere alla concorrenza, come era accaduto decenni prima per Mattei, nella disputa del petrolio con ENI, contro le Sette Sorelle. La stessa morte tempestiva di Raul, come quelle di Cagliari e Castellari, lasciò incomplete le indagini sulle tangenti Enimont (centocinquanta miliardi di lire/settantacinque milioni di euro in deposito presso la banca di monsignor Marcinkus, lo IOR) e salvi una parte dei beneficiari, mai rivelati. Prima gli stilisti e gli assi del design italiano dominavano la scena internazionale e Bettino Craxi manifestava ambizioni pari alla sua statura fisica, al vertice della socialdemocrazia mondiale. Dopo, con la Caporetto della Prima Repubblica, furono rapidamente svendute o smantellate grandi aziende, industrie dello Stato e infine rinunciammo a battere moneta, lasciando alla Banca d’Italia un ruolo quasi coreografico, a parte i lauti stipendi di dirigenti e funzionari. Adesso, qualcuno spiega di nuovo che, per abbassare il debito fuori controllo, dovremmo ancora privatizzare, ovvero vendere gli ultimi residui gioielli di famiglia. Intanto la Magistratura continua a fare il proprio mestiere e a mandare segnali, avvisi alla politica, non soltanto per questioni di danaro, con l’inevitabile ulteriore scadimento dell’affidabilità, già al limite dell’impossibile, posto che per fare il Premier, il Ministro o l’Assessore non occorre il mandato parlamentare, che per divenire deputati e senatori si è arrivati alla selezione sui social, mentre nei comuni mettere su la fascia da sindaco equivale ad un atto di coraggio, a saltare giù senza paracadute, mentre il COVID infuria e si assembla la marmaglia.
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