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EDITORIALE DEL DIRETTORE – COVID O NON COVID, URGE FAIR PLAY PER L’ECOSISTEMA

Di Ruggero Alcanterini

COVID O NON COVID, URGE FAIR PLAY PER L’ECOSISTEMA

 

  • LA PANDEMIA DA COVID HA RIMOSSO DAL NOSTRO MISEREVOLE IMMAGINARIO LEGATO AL BREVISSIMO TERMINE L’EFFETTO, MA NON LA CAUSA DEL VERO PERICOLO CHE INCOMBE SULL’INTERA VITA DEL PIANETA TERRA, DI CUI GLI UMANI SONO LA MEFITICA PARTE MINIMA … Proviamo ad immaginare l’alternativa ideale di una presenza umana ad inquinamento zero, in poche parole, una umanità virtuosa oltre ogni ragionevole impatto ambientale, prodiga di attenzioni per la propria e l’altrui salute, quella del mondo animale e vegetale, per la vita in generale, che non può prescindere dagli equilibri, salvo gli squilibri naturali, come eventi meteorici, sismici, vulcanici ed astrali.

 

“Quando avrete inquinato l’ultimo fiume, catturato l’ultimo pesce, tagliato l’ultimo albero, capirete solo allora, che non potrete mangiare il vostro denaro.” Questo recita una profezia degli Indiani d’America Cree e questo nella sostanza capitò alle popolazioni vichinghe d’Islanda e Groenlandia, piuttosto che ai Rapa Nui dissoltisi sull’Isola di Pasqua con la distruzione delle piante, nonché per via di vaiolo e sifilide, scolte avanzate della globalizzazione antropica sulla via delle Indie, passando per le Americhe.

 

Ecco quel che avvenne, sta capitando e che non viene compiutamente avvertito dalle collettività, sempre più numerose e rapite nella spirale perversa dell’evolution. La progressione con cui si sta ripetendo il fenomeno adesso è geometrica e non esistono altre terre da colonizzare e distruggere, ma soltanto spazi siderali da affrontare, come ultima via di fuga dall’inferno. Inferno? Sì, inferno oltre la fervida immaginazione dantesca, oltre ogni surreale fantasia, una cruda orribile realtà, come testimoniato dalle bolge amazzoniche, dall’immane rogo australiano, dalle discariche oceaniche infarcite di isole al polietilene, dalle spiagge e dalle profondità deturpate ovunque da pattume e rifiuti, la cui tossicità è scontata tanto quanto le scorie nucleari, l’amianto e l’uranio impoverito, da cui veniamo insidiati a prescindere, per teatri di guerra, prossimità di poligoni e centrali, discariche autorizzate o abusive, abitazioni e infrastrutture del sistema, comunque fonti di distruzione del contesto ambientale e di pericolo certo per la salute.

 

Sembrerebbe ormai impossibile liberarci dal corto circuito che si è innescato con la rivoluzione industriale basata su scoperte, che hanno favorito il moltiplicarsi degli umani e la loro longevità a discapito delle risorse naturali disponibili. La madre di tutte le battaglie dovrebbe essere quella di eliminare radicalmente l’uso di carbone e petrolio. Sembrerebbe anche questo impossibile prima della catarsi e del collasso definitivo. Stando a quel che avviene in questi giorni ed in queste ore in cui l’Australia si gioca il proprio e l’altrui futuro aggrappata alle sue miniere di rc412, il migliore fossile del mondo, ricordo delle antiche foreste care alla cultura aborigena, a quel che è l’oggetto reale della disputa mediorientale, dall’Iran alla Libia, passando per l’Iraq, il petrolio, non dovremmo avere scampo, pagando ancora più caro il prezzo del suicidio collettivo. Dunque, le campagne, le iniziative, le grida anche strazianti che si levano dal Pianeta martoriato, da una parte, i più, degli umani vittime sacrificali della satrapica cupidigia dell’altra parte, quella dei meno, degli epuloni senza remore né vergogna, sarebbero apparentemente senza speranza di giustizia e invece no, perché alla fine della vertigine, di un precipitare senza orientamento nell’immensità nera dell’orrido, si avverte quel suonar di campane salvifico, anticipatore delle trombe del giudizio, l’ultima chiamata alla responsabilità, alla reazione. Questo segnale è in essere, non del tutto percepito come interdittore diretto, fattore primario di contrasto al disastro planetario, mentre invece già costituisce il fulcro del divenire positivo, una rottura di schemi rispetto al pernicioso bradipismo istituzionale delle COP, da cui far partire il nostro risanamento, anzitutto mentale. La giovanissima Greta Thunberg è più di un simbolo e le miriadi di organizzazioni e movimenti in ogni parte di Gaia rappresentano qualcosa di più di una velleità culturale, politica o religiosa. In questo contesto levitante, l’Osservatorio Nazionale Amianto, nella sua declinazione completa verso gli orizzonti della difesa ambientale e della salute, rappresenta una forma assolutamente avanzata e pertinente, impegnata e concretamente in grado di assumere un ruolo, non soltanto formale, per quel che occorre fare anche sul piano internazionale. Credo, infine – non a futura memoria, ma a breve termine – che la rapida attivazione di sinergie con soggetti cooperatori qualificati per una profonda azione di rinascenza culturale ed etica, di fair play della genieristica per la costruzione di una solida rete, possa costituire la condizione per una inversione di tendenza sociale e politica, avente come obiettivo essenziale una umanità virtuosa in un ambiente risanato.

 

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