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Il dna della rinascenza e il futuro dell’Italia

Ho recentemente rispolverato la vicenda di Andrea di Michele, di Francesco di Cione, detto il Verrocchio, che nel 1488 ebbe il torto di morire a cinquantatré anni , lasciando incompiuta la statua equestre di Bartolomeo Colleoni , con successiva committenza da parte della Repubblica di Venezia ad Alessandro del Cavallo, al secolo Leopardi. Il Verrocchio, dietro di se, non lasciò solamente opere straordinarie, ma soprattutto allievi strepitosi, se non eccelsi, come Leonardo da Vinci, Alessandro Botticelli, Pietro il Perugino, Domenico Bigordi il Ghirlandaio, Francesco Botticini, Francesco di Simone Ferrucci, Lorenzo di Credi, Luca Signorelli e Bartolomeo della Gatta, usciti tutti dalla sua “alchemica” bottega, da quella sorta di frantoio dagli esiti raffinati, da cui il suo nomignolo, appunto di Verrocchio. Diversamente, di questi tempi, con la fine dell’ennesima Legislatura, ci si impicca per vedere cosa fa la differenza in più o in meno per chi lavora e chi no, per chi è o deve finire in pensione, mese più o meno, per minimi dettagli variabili del welfare reale o ipotetico, per redditi di cittadinanza o dignità, perché l’impegno sta nel mettere toppe, piuttosto che andare alla radice dei problemi. Mentre stentano a materializzarsi le casette per gli irriducibili tra i terremotati , ma non le buche nelle strade, mentre i parchi urbani inselvatichiscono e gli extra, senza più cantonieri e forestali, bruciano innescati da discariche tossiche , immigrati e diseredati, zombi tra stracci e cartoni , ovunque abbandonati nel Bel Paese , la dicono lunga sullo stato reale della nostra salute sociale, rispetto alle buone intenzioni, agli slogan su accoglienza, integrazione, inclusione. Per l’Italia, insultata dal sudiciume straripante, quanto il liquame da fogne e corsi d’acqua intasati, credo che non ci sia altra cura, per restituirci un futuro importante, se non quella di ricorrere alla formula dei nostri trascorsi migliori, di passare per la dignità del lavoro e per la sua qualità, individuandone ragionevolmente i presupposti legati alle nostre peculiarità, che sono quelle della grande bellezza intrinseca al territorio ed alla nostra cultura, all’arte. Occorre tornare a far leva sul primato delle idee e sui nostri “buoni maestri artigiani”, come quelli che per intenderci fecero grande l’Italia pur divisa del Rinascimento, compresi coloro che la guidavano politicamente ed economicamente: uno per tutti Lorenzo de Medici che sapeva ben fare il banchiere e la politica, indulgendo nel mecenatismo . Perché, cari amici, se ancora godiamo di stima nel mondo, questo lo dobbiamo a coloro che “ grandi maestri artigiani ” ci lasciarono la preziosa eredità dell’arte e non solo quella visiva, ma in tutte le sue declinazioni possibili e impossibili, sino alla stessa politica . E’ ora, dunque, che l’Italia torni a valorizzare il tesoro delle esperienze, del credere negli ideali, della creatività e della qualità, che “i buoni maestri “ superstiti siano messi in condizione di trasmettere con vantaggio il loro sapere, che rinascano le botteghe in tutti campi, i più disparati, con le relative scuole e che si finalizzino i lavori “socialmente utili” a quel che veramente possa tornare concretamente utile. Tanto, tantissimo ci sarebbe e c’è da fare, che si potrebbe davvero cominciare a ragionare in termini di “Rinascenza”, di nuovo Rinascimento. L’imperativo è quello di recuperare e preservare con il nostro habitat, la nostra immagine, la nostra essenza, ovvero una storia importante di cui occorre però essere davvero consapevoli. Ecco, per questo, dubitate di chi non ama i libri, di chi dissipa risorse pubbliche e private nell’effimero, di chi non ha sensibilità per la cultura nella sua accezione più ampia e sottovaluta il ruolo educativo dello sport, di chi opera tagli orizzontali e non ha il coraggio di governare oltre gli onori, di chi non ha slanci emotivi e di chi non investe nell’arte con la A maiuscola per renderla di godimento pubblico. Torniamo ad abbellire le nostre città con fontane e monumenti. Recuperiamo funzionalità di servizi e sicurezza, tornando al primato nel turismo, originando una nuova strategia del lavoro, piuttosto che dell’assistenza, che non lasci escluso alcuno, puntando alla vera pari dignità per tutti i cittadini e quindi, con una economia rigenerata, alla voglia di vivere, di procreare, di progettare futuro, di procedere nella logica dell’efficientamento sistemico della nostra società civile attraverso i principi fondamentali della meritocrazia e della valorizzazione delle risorse umane, a cominciare proprio dai buoni ed insostituibili “maestri artigiani”, eredi e perpetuatori in linea morale e sostanziale del DNA italico.

Ruggero Alcanterini

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