Se non si trattasse di un dramma, potremmo pensare ad una farsa, quella del Ponte crollato sul Polcevera a Genova. Adesso, ci si accorge che l’ardita struttura ideata dall’archistar Morandi e finita di costruire nel 1967 era ed è una bomba all’amianto, solo in parte esplosa il quattordici di agosto e in procinto di stendere ancora la sua alea mefitica, qualora collassasse spontaneamente, oppure se ne determinasse l’abbattimento, senza le particolari precauzioni necessarie. Quella immensa nube, quella nebbia di particelle in sospensione, che quaranta giorni fa si levò a fare di un brutto sogno cruenta realtà, è oggi divenuta un incubo ed un severo monito per tutti quelli che loro malgrado o incautamente vi sono stati coinvolti. Diciamo che non solo i residenti prossimi alle rovine del colossale manufatto, ma gli abitanti di Genova sono stati esposti al subdolo aire, lento e perverso, di quelle fibre che sino al 1992 hanno caratterizzato legalmente la presunta qualità del cemento. Adesso, che esigenze di tempestività imporrebbero procedure di demolizione veloci nel rispetto della sicurezza di persone e cose, il problema che si propone non è soltanto quello delle case sotto o vicine alla struttura, ma delle persone che debbono essere preservate dai gravissimi rischi derivanti dalla inalazione di microfibre di amianto. Il riferimento alla clamorosa demolizione del Velodromo Olimpico a Roma nel 2008 è inevitabile, perché ciò avvenne per decisione pubblica con l’esplosione contemporanea di quasi duemila microcariche di tritolo, senza alcuna precauzione o protezione per persone e cose. Naturalmente il Ponte del futuro, quello pieno di simboli, progettato da Renzo Piano, non conterrà amianto, ma tuttavia assumerà un ruolo ulteriore, rispetto alla ricostituzione di un assetto viario vitale per il quadrante nordovest del Bel Paese, ossia quello di ricordare che molti altri ponti e altre strutture strategiche sono state realizzate con gli stessi materiali deperibili e con l’amianto, come nel caso di un’altra preoccupante emergenza romana, quella dei fatiscenti Viadotto e Ponte della Magliana. Nel contesto nazionale, si tratta di migliaia di grandi e medie strutture non soltanto necessarie per la mobilità, ma di utilità sociale essenziale, come ospedali e scuole, pubblici uffici. Di contrasto a questa situazione, si distingue l’instancabile opera dell’ONA, presieduta da Ezio Bonanni, a difesa di cittadini ieri inconsapevoli, oggi consapevoli, ma comunque inermi di fronte alla inadeguatezza delle misure di bonifica e prevenzione, subalterni alle ragioni di Stato, che portano a scelte comunque drammatiche, come nel caso dell’ILVA a Taranto. Ma si tratta pur sempre di una goccia nel mare, anche se significativa. Insomma, nel dilemma tra vivere o morire, si può davvero inserire la terza via, quella di un ponte anche ideale tra passato e futuro, tra quello crollato e da ricostruire a Genova come metafora e paradosso del rispetto primario della salute e della sicurezza, come parametro da adottare nella intera Italia della rinascenza, liberata da meri vincoli economici, insensati rispetto alla questione primaria della salute.
Ruggero Alcanterini
Direttore responsabile de L’Eco del Litorale
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