…No, non puoi sempre perdere
No, non puoi sempre perdere
Capita ogni giorno quello che è successo a noi
Bisogna saper vincere
Bisogna saper vincere
Non sempre si può perdere
Ed allora cosa vuoi?
VOGLIO VINCERE ! …
Ma quale può essere il Golden del Gala, se non il valore aggiunto del calore espresso dal pubblico in empatia con gli agonisti? Mentre scrivo, assisto al capolavoro delle azzurre del calcio, che mettono sotto le australiane, tirando fuori l’anima nell’ultima azione utile, negli ultimi secondi di match. Mi torna in mente un vecchio motivo in voga dei The Rokes, cambiandone le parole e il senso. Bisogna saper vincere. Ecco un esempio di quel che dovrebbe continuare a sostenere i nostri atleti, indipendentemente dal ruolo, soprattutto se considerati gli alfieri di un movimento, che vanta nobilissime tradizioni . E sì, confermo che le sensazioni del prima e del durante l’ultima edizione del “Golden Gala” – intitolato ad un winner come Pietro Mennea – erano finalmente quelle giuste, dopo anni di rassegnata attesa. Il clima era favorevole, tutto sembrava combinare in un contesto pressoché perfetto, fresco e ordinato, con il pubblico in crescendo nello stadio diffusamente gioioso, con le impennate della Curva Sud per le esuberanze di Gimbo Tamberi, la profusione di orgoglio e commozione per l’Inno di Mameli in onore del Signor Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, in tribuna, tra Malagò, Giomi e Giorgetti, lì per fare il punto sul nuovo corso salutistico sportivo e seguire la nuova freccia italica, Pippo Tortu. In definitiva, in carenza di nuove opportunità olimpiche, di campionati tricolori, di incontri internazionali bilaterali o a più nazioni, questa rimane l’unica occasione per vedere la grande atletica al Foro Italico, sulle piste e le pedane dell’Olimpico, laddove la storia dello sport ha lasciato più volte il segno. Cosa volete, forse si corre il rischio di passare per nostalgici, ma chi ha provato le vibrazioni emotive degli oceanici “studenteschi” e poi dei gettonatissimi Giochi della Gioventù, dei “tricolori “ nobilitati dalle sfide tra quei giganti sopravvissuti alla Seconda Guerra ed i semidei generati dalla straordinaria energia sprigionatasi dalla XVII Olimpiade, chi è rimasto contaminato dalle gesta di Vladimir Kuts, chi ha vissuto la rinascenza atletica degli anni settanta-ottanta, passando per Campionati Europei e Mondiali, anche Master, Coppe Europa e del Mondo, chi ha vissuto trasmutazioni tali da coinvolgere finanche la Polizia a cavallo per arginare le dichiarazioni popolari degli affetti nei confronti delle nostre star, chi ha visto nascere, trionfare e tramontare un gladiatore della pista come Pietro Mennea, sempre con quel dito indice alzato, chi ha condiviso per decenni la filosofia della vittoria, piuttosto che del primato, sa quanto peso abbiano lo spirito guerriero e l’idea di vincere. Ecco, se devo e se posso essere onesto con me stesso e voi tutti, in certi contesti, in certe occasioni, la massima attribuita al barone olimpico, a Pierre de Coubertin, diventa un non senso, quanto inutili e maniacali possono risultare le statistiche e le tabelle riassuntive di una stagione senza podio. Quel che conta è pur sempre vincere, poter dire e farsi dire: “Primo!”. Non a caso il più grande motivatore o se volete psicologo sportivo di supporto ai nostri vincitori fu proprio uno che nel dubbio si chiamava di nome Primo e di cognome Nebiolo. Prima di lui lo erano stati Ridolfi e Zauli e con lui il manipolo di dirigenti che lo accompagnò nel ventennio del “Rinnovamento”, nel bene ed anche nella fase catartica, sicuramente per eccesso e non per difetto. Ora, che si annunciano congiunture favorevoli, occorre non sottovalutare il peso appunto delle motivazioni, diciamo quel che con dei professionisti, sembra con grande successo, è riuscita a fare la Federnuoto, come, diversamente, con la filosofia di appartenenza, continua a mietere successi e medaglie la Federscherma. Insomma, bisogna tornare a vincere a rendere autenticamente passionali gli amplessi tra atletica e pubblico, con al centro lo straordinario ruolo dell’immaginario collettivo, alimentato dai media e che ama le sfide in “azzurro” e vincerle, magari aspettando l’alba di Tokio, che presto verrà.