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Ballando con le stelle, la Lega e il Cavaliere

Dopo il primo giro di consultazioni al Quirinale, le velleitarie proposizioni di chi non vuole fare i conti con il responso del “proporzionale” Rosatellum del 4 marzo, che obbliga all’inciucio e le dichiarazioni di circostanza del Presidente Sergio Mattarella, con l’intento di fare chiarezza non solo sul breve, ma anche sul medio lungo decorso, sui perché e i come dello stato dell’arte, del nostro teatrino politico, vi propongo il mio ultimo editoriale per il quotidiano che dirigo, l’ECO DEL LITORALE: “Quando si nasce con la camicia … Per congiuntura astrale favorevole, non siamo condannati a finire male , pur danzando costantemente da decenni sul ciglio di un orrido. Ma è mai possibile che la storia con i suoi ricorsi semplici, quasi banali, non ci abbia insegnato nulla? Non voglio tornare ai tempi in cui Cicerone andava a bagnarsi alla foce dell’Astura, ma scusate, se nel 1978, dopo averla scampata dal piombo d’importazione delle Brigate Rosse, con tanto di assassinio del nostro Premier, Aldo Moro, quindici anni appresso, nel 1992/93, ci siamo lasciati distruggere, applaudendo, il bene più prezioso, il tessuto fondamentale della democrazia partecipata, quella fatta di partiti, sezioni, associazioni, club, luoghi permanenti di aggregazione e discussione sul territorio senza distinzione di orientamento, per un colpo di mano del “destino”… Un evento inatteso da cittadini e istituzioni, ottundente e violento, quasi fosse preordinato – come capitò con il deprecato intervento fascista del 1922 – che senza distinguere il grano dal loglio, in nome delle “mani pulite” fece fulmineamente strame del sistema politico partitico storico. Da quel cataclisma, rimase spiaggiato uno strano embrione populista, quello della Lega Nord, oggi esteso a Partito italiano più antico, che mentre gli “storici” andavano in rapida liquefazione, sull’onda dell’insulto, passava da due parlamentari ad ottanta. Poi, sempre con gli applausi dei fessi, tra le rovine fumanti di quella che era stata la Prima Repubblica Italiana, quella dei padri costituenti europeisti, convinti di averla fondata sul lavoro, ci siamo imbattuti nella stagione dei processi giudiziari massivi, dei suicidi, dello smantellamento e della svendita di quasi tutti i gioielli di famiglia, quelli messi insieme dagli italiani dal 1947, dopo il disastro della Guerra, quelli che per intenderci davano – con le partecipazioni statali e con il sostegno alle aree di sviluppo come la Cassa per il Mezzogiorno – il “fu” lavoro a tempo indeterminato, insieme ai ministeri, alle poste, alle banche, al sistema privato delle industrie e del commercio, che erano la nostra vita, la nostra ricchezza, il nostro brand di alta qualità manifatturiera, la nostra insuperabile capacità d’intraprendere, il Made in Italy, l’Italian Style. In quei due anni del braccio di ferro vinto dalla magistratura politicizzata sulla politica devitalizzata, quelli del Governo Amato , lo scenario si popolò velocemente di commissari liquidatori e di avvoltoi, che consegnarono ai furbi e alla concorrenza estera le nostre migliori attività produttive come si trattasse di yogurt scaduto. Si entrava trionfanti e senza nessuna consultazione popolare nell’Euro, non per ottimizzare la Lira, ma per umiliarla, riducendo progressivamente la stessa Banca d’Italia ad un mero simulacro, l’ennesimo dedicato al controllo, a fare burocrazia di lusso. E allora? Sicuramente qualcuno dirà: “Bene, benissimo! Era ora di fare piazza pulita!” . Ma per scoprire i veri colpevoli di quel micidiale salasso coincidente con la più breve legislatura della Repubblica e quindi dal 1992 alle elezioni del 1994, quando a sorpresa irruppe il Cavaliere con Forza Italia e il Polo della libertà, altro frutto della “maionese impazzita” da mani pulite, conviene leggersi il giallo partendo dalla fine. Fate allo stesso modo, se volete capire qualcosa di questo tremendo guazzabuglio uscito dalle elezioni conciate dal “Rosatellum” il 4 di marzo, ultima stazione della nostra venticinquennale “via crucis”, provate a ricavarne la logica, ovvero quella di un caos elevato a potenza, da cui chi pensa di aver vinto come partito, il Movimento 5 Stelle, non può prescindere dal mistero della sua nascita, tale e quale il “dogma della immacolata concezione”, mentre chi pensa di aver vinto come coalizione non può esimersi dal ”peccato originale”, il Cavalier Berlusconi fondatore di Forza Italia. Quel che rimaneva dell’antica eredità comunista e democristiana sopravvissuta e mixata nel Partito Democratico, nonché spezzoni dell’infinita diaspora, come Liberi ed Uguali e il Partito di Nencini , risulta sbattuta sui muri graffitati e tra le buche, anzi le voragini, di un Paese allo sfacelo, dopo la deflagrazione tremenda di tutta la “sinistra”, punita da un elettorato ormai sordo a richiami di maniera, che anzi è divenuto allergico ad aiutini e “jus soli”, ma si aspetta aiutoni e riforme con benefici a breve . Certo, che dopo aver superato lo scoglio delle presidenze di Senato e Camera con Casellati e Fico, adesso ci consoliamo con l’idea che per il Governo accadrà l’ennesimo miracolo per mano del Presidente Mattarella o magari del Presidente Emerito Napolitano, piuttosto che dello spirito di quel geniaccio di Casaleggio padre , che prima tentò di far volare un lepidottero come l’Italia dei Valori e poi dette vita al suo capolavoro nel 2009, ad un movimento studiato a tavolino, un prodotto marketing con ferree regole dettate da chi lo possiede, ma ne sta fuori, con un nome che, come per il salame e gli alberghi, usa il marchio commerciale per eccellenza, quello delle stelle che, partendo dalla prima, vogliono già dire qualità. Gianroberto Casaleggio, cui ribadisco la stima del grande professionista, come è giusto che sia anche nella ricorrenza della sua prematura dipartita, ci ha lasciato però orfani del progetto architettonico in work progress che era nella sua testa. E’ successo quello che capitò con Gaudì, che distratto dal suo viaggio onirico permanente finì sotto l’unico tram che girava per Barcellona e lasciò la Sagrada Familia incompiuta. E sì, perché un conto è gestire una situazione in cui con il successo iniziale porti a casa Pizzarotti e Fico, un sindaco di gran tempra in quel di Parma e un deputato nel doppio ruolo di presidente della vigilanza RAI ieri e di presidente della Camera dei Deputati oggi, e un conto è andare in progressione geometrica, in teletrasporto e ritrovarsi da gestire piccole e medie città come quelle del Litorale (Nettuno, Ardea, Pomezia) piuttosto che grandi come Torino e Roma, Capitale e Metropolitana. Mentre ben altro conto è ritrovarsi con un esercito di “ragazzi” in festa per il primo giorno al Parlamento, con la prospettiva di prendere in mano il Governo del Paese spinti da un ulteriore e forse definitivo tsunami nel momento peggiore della sua storia unitaria, sulla base di un consenso nato dalla disperazione di chi è stato tradito dalle istituzioni nazionali ed europee, che si sente minacciato dalla povertà e dal degrado, indifeso da flussi indiscriminati e interminabili d’immigrazione economica, tentato dal miraggio del reddito di cittadinanza, che taglierebbe corto sulla dignità del lavoro e delle magre pensioni, equiparando il resto d’Italia alla Sicilia dei “forestali”, naturalmente “Pozzo di San Patrizio” permettendo. Ora, vi confesso di avvertire una strana sensazione, per la prima volta nel mio lungo percorso di vita professionale, sociale e politica, prevalentemente sviluppato anche nel periodo delle riforme positivamente ricordato da Grillo, quello dal 1972 al 1980. Avendo peraltro avuto la fortuna, dal 1962 al 1990, di essere a contatto con quei personaggi , che ebbero la capacità di dare all’Italia leggi cardine, infrastrutture e dignità internazionale, mi sento basito da tanto disarmante ottimismo e dall’antico gioco dei bussolotti, cui vengono affidate le nostre sorti. Eppure, gli esempi, gli esiti problematici di prove tecniche di trasmissione non mancano, sono sotto gli occhi esterrefatti di tutti noi. L’inconsistenza qualitativa della nostra classe politica, di recupero, per forza di cose di terza mano, dopo i danni irreversibili subiti negli anni novanta, non può che partorire l’autoliquidazione dei sopravvissuti della “sinistra”, piuttosto che il progressivo rinsecchimento di Forza Italia, legata per la vita al suo capo indiscusso, piuttosto che la riduzione fisiologica di rami e cespugli inselvatichiti, fatto salvo il ceppo radicale legato alle pulsioni europeiste di Emma Bonino. Per conseguenza, la corsa per la salvezza, se non la disperazione e la sfiducia nel futuro, hanno orientato ed ancora di più orientano – adesso dopo il voto – il consenso degli italiani verso la Lega, quello strano embrione, divenuto oggi un trentenne ruvido “tribuno della plebe”, piuttosto che verso il Movimento 5 Stelle, che propone la faccia pulita di Di Maio, ma al contempo personaggi improbabili e inadeguati , tra gli stessi incredibili candidati ministri, piuttosto che il Sindaco di Roma, Capitale e Metropolitana, Virginia Raggi, che sprofonda serenamente tra buche e voragini e “Frigo Valley”, senza darsene pena. In definitiva, alla prova dei fatti, emerge sistematicamente l’inadeguatezza del Movimento, orfano del suo “architetto” fondatore e che non perde occasione per contraddirsi e farsi del male, come nel caso del “NO!” alla candidatura di Roma ai Giochi del 2024 , puntualmente smentita con quella del “SI!”, per Torino 2026. Francamente, imporre regole che impediscano ad un sindaco valido come Fucci a Pomezia di svolgere il suo fondamentale secondo mandato o reclutare a bando i candidati per le Camere, significa poi forse garantire un numero omogeneo di “palettari”, ma anche di asservire in modo acritico al “direttorio” il potere legislativo delegato dai cittadini. Il Direttorio etero dirige standosene in albergo, a casa o alla “consolle” della piattaforma Rousseau, senza esporsi ed essere soggetto al giudizio degli elettori stessi, che sono esclusi dalla direzione inaccessibile e indecifrabile di una formazione aliena nel sistema politico-partitico. Ecco, dunque, il problema che abbiamo di fronte, ovvero quello della imponderabilità delle scelte e dell’affidabilità dei personaggi eletti ed incaricati, resi tremendamente forti dal Movimento, ma al contempo fragili, deboli, perché privi di esperienza e consenso personale. Torno infine alla situazione di Roma e del Lazio, nel quadrante “virgiliano”, dove galleggiano i navigli in pezzi dei sindaci pentastellati o ex come Casto, Savarese e Fucci e torno a Virginia Raggi, che si limita ad alzare le mani di fronte alla orribile catastrofe strutturale e organizzativa che attanaglia la sua Città e la nostra Area Metropolitana , rassegnata davanti agli eventi, con una scrivania strapiena delle tante dimissioni e nomine di assessori, di pastrocchi nelle “municipalizzate” … Pensare ad una Italia così combinata, mette davvero sgomento, perché potremmo essere alla fine o all’inizio di un sogno, quello di una Italia degli ideali e della rinascenza, dei giovani della generazione Erasmus, ma anche di un incubo, mentre ai portoni di Palazzo Madama, Montecitorio e Palazzo Chigi sciamano i vecchi marpioni, e premono i neofiti, apprendisti legislatori. E la nave Italia? La nave va, come nave scuola , senza un nocchiero sicuro, verso una ignota meta “.

Ruggero Alcanterini

Direttore responsabile de L’Eco del Litorale

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