L’emergenza smg nelle città italiane è un problema sempre piùo pressante. Secondo il nuovo report di Legambiente “Mal Aria di città. Cambio di passo cercasi”, redatto e pubblicato nell’ambito della Clean Cities Campaign, i livelli di inquinamento atmosferico in molte città sono ancora troppo alti e lontani dai limiti normativi, più stringenti, previsti per il 2030. Il report ha messo in evidenza i dati del 2022 nei capoluoghi di provincia, sia per quanto riguarda i livelli delle polveri sottili (Pm10, PM2.5) che del biossido di azoto (NO2). In sintesi, infatti, sono ben 29 città delle 95 monitorate, che hanno superato gli attuali limiti normativi per gli sforamenti di Pm10 (35 giorni all’anno con una media giornaliera superiore ai 50 microgrammi/metro cubo) con le centraline di Torino (Grassi) che si piazza al primo posto con 98 giorni di sforamento, seguita da Milano (Senato) con 84, Asti (Baussano) 79, Modena (Giardini) 75, Padova (Arcella) e Venezia (Tagliamento) con 70. Queste città hanno di fatto doppiato il numero di sforamenti consentiti. Sempre per il Pm10, l’analisi delle medie annuali ha mostrato come nessuna di esse abbia superato il limite previsto dalla normativa vigente, ma ciò non è sufficiente per garantire la salute dei cittadini, in considerazione delle raccomandazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e dei limiti previsti dalla nuova Direttiva europea sulla qualità dell’aria, che entreranno in vigore dal 1° gennaio 2030.
Per il Pm10, sarebbero infatti solo 23 su 95 (il 24 per cento del totale) le città che non hanno superato la soglia di 20 µg/mc. 72 città sarebbero dunque fuorilegge. Le città che devono lavorare di più per ridurre le loro concentrazioni e adeguarsi ai nuovi target (20 µg/mc da non superare per il Pm10, 10 µg/mc per il PM2.5, 20 µg/mc per l’NO2) sono: Torino e Milano (riduzione necessaria del 43 per cento), Cremona (42 per cento), Andria (41 per cento) e Alessandria (40 per cento) per il Pm10; Monza (60 per cento), Milano, Cremona, Padova e Vicenza (57 per cento), Bergamo, Piacenza, Alessandria e Torino (55 per cento), Como (52 per cento), Brescia, Asti e Mantova (50 per cento) per il PM2.5. Le città di Milano (47 per cento), Torino (46 per cento), Palermo (44 per cento), Como (43 per cento), Catania (41 per cento), Roma (39 per cento), Monza, Genova, Trento e Bolzano (34 per cento), per l’NO2. “L’inquinamento atmosferico non è solo un problema ambientale, ma anche un problema sanitario di grande importanza”, dichiara Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente. “In Europa, è la prima causa di morte prematura dovuta a fattori ambientali e l’Italia registra un triste primato con più di 52.000 decessi annui da PM2.5, pari a 1/5 di quelli rilevate in tutto il continente. È necessario – prosegue – agire con urgenza per salvaguardare la salute dei cittadini, introducendo politiche efficaci ed integrate che incidano sulle diverse fonti di smog, dalla mobilità al riscaldamento degli edifici, dall’industria all’agricoltura. In ambito urbano è fondamentale la promozione di azioni concrete sulla mobilità sostenibile attraverso investimenti importanti sul trasporto pubblico, il ridisegno dello spazio cittadino con pedonalizzazioni e zone 30, politiche di promozione dell’uso delle due ruote in sicurezza, la diffusione delle reti di ricarica dei mezzi elettrici, facilitando la scelta di ridurre fortemente l’uso dell’auto privata. Chiediamo al Governo, alle Regioni e ai Comuni, di mettere in campo azioni coraggiose per creare città più pulite e sicure. La salute è un diritto fondamentale che non può essere compromesso”.
“La Direttiva europea sulla qualità dell’aria, recentemente proposta, rappresenta solo il primo step di una sfida importante. Le nuove AQGs (Air Quality Goals) impongono un notevole adeguamento rispetto ai valori guida OMS e introducono nuove metriche, come il dimezzamento dei valori di legge attuali”, spiega Andrea Minutolo, responsabile scientifico di Legambiente. “Le nostre analisi hanno evidenziato che il 76 per cento delle città monitorate superano già i limiti previsti dalla futura direttiva per il Pm10, l’84 per cento per il PM2.5 e il 61 per cento per il NO2. Questo significa che le città italiane dovranno lavorare duramente per adeguarsi ai nuovi limiti entro i prossimi sette anni, soprattutto considerando che i trend di riduzione dell’inquinamento finora registrati non sono incoraggianti e che i valori indicati dalle linee guida dell’OMS, che sono il vero obiettivo da raggiungere per tutelare la salute delle persone, sono ancora più stringenti dei futuri limiti europei”, conclude Minutolo. Secondo l’associazione, la tendenza di decrescita dell’inquinamento è troppo lenta, esponendo le città a nuovi rischi sanitari e sanzioni. Il tasso medio annuale di riduzione delle concentrazioni a livello nazionale è, infatti, del solo 2 per cento per il Pm10 e del 3 per cento per l’NO2. Le città più distanti dall’obiettivo previsto per il Pm10, ad esempio, dovrebbero ridurre le proprie concentrazioni cittadine tra il 30 per cento e il 43 per cento entro i prossimi sette anni, ma stando agli attuali trend di riduzione registrati negli ultimi 10 anni (periodo 2011 – 2021, dati Ecosistema Urbano), potrebbero impiegare mediamente altri 17 anni per raggiungere l’obiettivo, ovvero il 2040 anziché il 2030. Città come Modena, Treviso, Vercelli potrebbero metterci oltre 30 anni. Anche per l’NO2 la situazione è analoga e una città come Catania potrebbe metterci più di 40 anni.