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AL TEMPO DEL COVID, CON LA SIGNORINA ZESI …L’editoriale del Direttore

Questa notte un ospite inatteso e indiscreto, un minaccioso calabrone, un “ammazzasomari” per la trovatella Zesi, mi ha sbattuto fuori della camera da letto. E così, gira che ti rigira, in un giaciglio di fortuna ispiratore ho filmato idee, immagini, emozioni oniriche, che il sonno non avrebbe cancellato. Così, sfogliando una delle mie “reliquie”, a caso, un volumetto della Bibliotechina della Lampada, La Signorina Zesi, piccolo capolavoro di artigianato editoriale, mi sono intruso nella sinergia virtuosa tra personaggi unici, come gli scrittori e colleghi giornalisti Antonio Beltramelli e Tomaso Monicelli, padre di Mario e Mino, dell’illustratore principe del liberty italico, Enrico Mario Pinochi e di Arnoldo Mondadori, detto “incantabiss” per via della sua straordinaria eloquenza, figlio di ciabattino, alfine trasmutato in industriale storico e di vaglia. Dunque, che dire, della metaforica Zesi, inventata da Beltramelli, adottata e riadottata da una famiglia di rudi montanari e da un ricco fuori di testa in una città di pianura, perennemente in fuga dalle infernali macchine e dal logorio della vita moderna? Quella prima puntata di una lunga storia annunciata non sarebbe mai stata seguita dalla seconda, perché il Beltramelli, direttore e fondatore del Romanzo dei Piccoli, poi Rivista dei Ragazzi, di Giro Giro Tondo e del Giornalino della Domenica, nel 1925, si sarebbe involato per Borea cinque anni dopo, ad appena cinquantun anni. Lui e Andreina Monicelli erano stati testimoni di nozze dello stesso Arnoldo Mondadori. Tomaso sarebbe andato avanti sino al 1946, pagando dazio con il Fascismo, per aver dissentito perentoriamente, dopo esserne stato assertore, dal 1924, dopo il delitto Matteotti. A trovare il cadavere del padre, suicida, il figlio Mario ( stesso destino nel 2010) che lo giustificò, dicendo: “Ho capito il suo gesto. Era stato tagliato fuori ingiustamente dal suo lavoro, anche a guerra finita, e sentiva di non avere più niente da fare qua. La vita non è sempre degna di essere vissuta; se smette di essere vera e dignitosa non ne vale la pena. Il cadavere di mio padre l’ho trovato io. Verso le sei del mattino ho sentito un colpo di rivoltella, mi sono alzato e ho forzato la porta del bagno. Tra l’altro un bagno molto modesto.» E Pinochi? Il grande illustratore italiano avrebbe concluso la sua fantasiosa presenza terrena in Argentina con la Editorial Abril nel 1965. Enrico Maria, conosciuto Federico Pedrocchi alla Mondadori e che, figlio di italiani, dal Mar del Plata veniva, prima di salutare il Bel Paese, avrebbe lasciato, oltre che migliaia di tavole, manifesti e cartoline d’impareggiabile suggestione, le mitiche prime strisce italiane dei disneiani Paperino, Pippo e Clarabella, disegnate dal 1938 al 1940, oggi oro per i collezionisti. Accidenti al vespone, direte voi… Ma non finisce qui, perché la litania delle pagine d’epoca stanotte s’intrecciava con le immagini in tv del “centenario” mito di Enzo Biagi, alle prese con un verace Pasolini, melanconico e presago di un suo fine corsa misterioso e criminale, evocatore di ricordi ed attualità. Infatti, nel crepuscolare divenire delle news, emergeva anche il contrappunto drammatico del ritrovamento di Viviana Parisi, nella boscaglia di Caronia, a meno di mille metri dal punto della sua scomparsa in autostrada… Così, ancora, nello stentare del buio e nel timido affacciarsi del giorno, mi veniva in mente un altro drammatico riapparire, come fu quello dei miseri resti di Yara Gambirasio, sempre nel 2010, adolescente vittima inconsapevole del suo innato amore per la ginnastica ritmica… Infine all’alba, con il caffè, i dettagli dell’ennesimo scostamento e pioggia di miliardi, senza alcun cenno straordinario per lo sport e la salute degli italiani, a casa come a scuola. Come dire, distanziati, ma obesi, con tanti saluti alla silvestre Zesi.

Ruggero Alcanterini

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Ruggero Alcanterini

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