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Cultura

Incontro con Antonio Murzio

Incontriamo Antonio Murzio. Tratta per lavoro ogni giorno storie, si racconta in questa  breve intervista e ci dice il suo punto di vista sull’Editoria in Italia.  Laureato in Sociologia, indirizzo Comunicazione.  Giornalista pubblicista dal 1985, con una lunga esperienza sia in redazione sia sul campo, collabora con numerose testate nazionali.  Si definisce soprattutto un cronista. Al suo primo lavoro letterario, Educati alla violenza. Storie di bullismo e baby gang (Casa Editrice Imprimatur), Antonio racconta di argomenti scottanti ed oggetto di numerosi casi di cronaca. Il cronista Murzio si chiede cosa succeda alle vittime di bullismo, e quali siano le conseguenze del quotidiano stillicidio di sopraffazioni e angherie di cui vengono fatte oggetto.  Murzio ha cercato e intervistato ragazzi e ragazze che hanno vissuto sulla propria pelle il disastro psicologico che il bullismo produce. Non volendosi, però, fermare al racconto fine a se stesso, si è rivolto a una delle massime autorità in materia, la psicologa Maura Manca, presidente dell’Osservatorio nazionale adolescenza, così da capire i “meccanismi” del fenomeno. Ha poi allargato l’interesse alle baby gang e alla criminalità minorile, e in questo modo ha voluto fornire ai lettori uno sguardo d’insieme sulla devianza minorile nel nostro Paese. Alla fine ha scoperto che a essere messo sul banco degli imputati dovrebbe essere proprio quel mondo che quotidianamente frequenta per lavoro: quello dell’informazione. Il suo  volume è uscito in questo 2018 e se ne parlerà a lungo, ma  Antonio ritiene che resterà probabilmente l’unico che avrà scritto, perchè sostiene che ci sono già tanti che scrivono, e lui pensa che continuerà a fare il lettore, attività che ama.

Antonio, come è nato questo libro?

Il libro è nato in maniera quasi fortuita: una collega del Resto del Carlino che avevo conosciuto quando lavoravo a Reggio Emilia, si è ricordata di me quando dalla casa editrice Imprimatur le hanno chiesto se conoscesse un cronista al quale affidare la scrittura di un libro sul fenomeno del bullismo. I titoli sull’argomento erano già numerosi e molto qualificati, ma tutti opera di psicologi che, ovviamente, trattavano l’argomento focalizzandosi sugli aspetti di loro competenza. Diciamo che è la stessa cosa che poi ho fatto io: i miei ferri del mestiere erano, e sono, quelli del cronista, e quelli ho utilizzato per scrivere “Educati alla violenza”. Il registro e la tecnica usati sono quelli dell’inchiesta giornalistica: ho cercato storie e le ho raccontate, ho individuato tratti comuni nelle storie che andavo raccogliendo e mi sono affidato a una esperta, Maura Manca, presidente dell’Osservatorio nazionale adolescenza, per capire le dinamiche del fenomeno. Man mano che procedevo nel lavoro, ho ampliato lo sguardo e indagato anche i fenomeni delle baby gang e dela ruolo dei minori nei contesti caratterizzati dalla presenza di organizzazioni mafiose. Nella prima parte racconto sei storie di vittime di bullismo: alcune le ho incontrate, di altri purtroppo, come nel caso di Arturo, ho solo potuto pubblicare la lettera che aveva scritto prima di suicidarsi.

Parliamo di Editoria in Italia.

L’editoria, sia quella libraria, sia quella giornalistica, è in crisi. Le persone non leggono e le nuove tecnologie hanno influenzato le modalità di fruizione dei prodotti editoriali. A fronte di un accesso sempre più agevolato alle fonti di informazione, purtroppo si è perso il gusto dell’approfondimento e della ricerca delle notizie. Ma non dispero, ultimamente ci sono dei segnali in controtendenza. A fronte di un proliferare di giornali, off e online “copia e incolla”, si stanno facendo spazio alcune realtà interessanti, che cercano di recuperare il vero valore di questo mestiere. Il vero problema è che l’informazione costa, fare una inchiesta costa e i giornali online non hanno ancora trovato un modello di business che consenta di operare in questa direzione. Non dimentichiamo che è stata appena annunciata l’intenzione, da parte della Gedi, di chiudere il sito dell’Espresso e ridurre gli stipendi dei giornalisti della testata del 30% con contratti di solidarietà

Sei un giornalista. Ti occupi di storie ogni giorno. Quali ingredienti secondo te sono indispensabili per fare il mestiere di cronista?

Attualmente curo il coordinamento del desk di un settimanale familiare, coordino i collaboratori e, purtroppo, ogni giorno ho la conferma di quello che dicevo poc’anzi: la gente scrive tanto, ma legge poco. Bisognerebbe che tutti ci sforzassimo di leggere di più e scrivere meno. Sa cosa scriveva l’Abate Dinouart nel suo “L’arte del tacere” nel 1700? Che bisognerebbe parlare solo quando si deve dire qualcosa che valga più del silenzio. Lo stesso bisognerebbe fare con i giornali, scrivere solo quando c’è la notizia, il fatto. E qui mi collego alla seconda domanda: gli ingredienti per fare il cronista? Tanta curiosità, la voglia di capire quello che ci accade intorno e, soprattutto, tantissima umanità. Quando scriviamo di un caso di cronaca nera, mai dimenticare che stiamo parlando di persone. Nel dolore dei parenti, per esempio, bisogna entrare in punta di piedi. Cosa che molti colleghi, purtroppo, non fanno.

Cosa ha successo oggi a livello editoriale?

Se ci si ferma davanti a un’edicola si ha la risposta: proliferano i giornali di gossip, soffrono i newsmagazine, i quotidiani nazionali tengono botta. Il gossip ha il grosso traino della televisione costruisce personaggi. Cito il titolo dell’ultimo editoriale di Ora, il settimanale in cui lavoro: “Ridateci i veri vip”, ha scritto il direttore Lorella Ridenti. Ecco, un tempo con i familiari ci si interessava alle vicende sentimentali di un Mastroianni, ma, appunto, era Mastroianni, un mostro sacro del cinema, non certo un personaggio costruito dalla tv in un reality.

Lisa Bernardini

 

lisabernardini

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