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14enne ucciso a Roma, il patrigno: “Spari da una Ford bianca, mi è morto tra le braccia”

(Adnkronos) – ''Alexandru non era tanto lontano da me, a un certo punto si è accasciato e io mi sono spaventato a morte perché quelli avevano sparato dalla macchina senza scendere''. Così in un'intervista a 'La Stampa' Tiberiu, 28 anni, romeno con precedenti per spaccio, compagno della mamma di Alexandru, il 14enne ucciso a Roma la notte tra venerdì 12 e sabato 13 gennaio.  Secondo la sua ricostruzione gli spari sono partiti da ''una Ford bianca, ma non saprei dire il modello''. Quando Alexandru è stato colpito, prosegue, ''mi sono avvicinato a lui e gli ho alzato la maglietta: era tutto sporco di sangue e aveva un foro all'altezza del cuore. Mi è morto tra le braccia''. La mamma di Alexandru e Tiberiu hanno insieme due figli di 4 e 8 anni. ''Sentivo come un figlio anche Alexandru, era un ragazzino bravissimo sempre gentile con tutti. Faceva la terza media, gli piaceva il calcio, andava volentieri a scuola e non meritava di morire così – dice Tiberiu – Quei due uomini dell'Est lo hanno ucciso senza motivo. Non dimenticherò mai quello che è successo: è morto tra le mie braccia", ripete.  Sui motivi per cui i due fossero nel parcheggio al capolinea della metro C, a Pantano, alle 3 del mattino Tiberiu spiega: ''Non erano le 3, ma le 2,30 circa. Mi avevano dato appuntamento per un chiarimento quei due uomini con cui mi ero picchiato al bar verso le 11 di sera''.  ''Mi hanno scritto su Messenger perché siamo amici su Facebook'', chiarisce: "'Dobbiamo parlarti, dobbiamo chiarirci, vieni al parcheggio' e io ci sono andato insieme ad Alexandru, suo nonno, suo zio materno, mia madre e mia sorella''. ''Alexandru e suo nonno erano con me al bar quando ho litigato con quelli – racconta ancora – Poi noi tre siamo andati da via Casilina ad Acilia, circa mezz'ora di strada, per il compleanno dello zio materno di Alexandru. E mentre eravamo lì mi hanno cercato per invitarmi al chiarimento. Lo zio di Alexandru ha voluto unirsi a mia madre e mia sorella anche perché erano preoccupate per la lite che avevo avuto prima al bar''.  
Ci eravamo picchiati, spiega ancora, ''perché quei due erano prepotenti. Cosa vuole che le dica? Forse gli stavo sulle palle, mi scusi l'espressione. Forse io gli stavo antipatico, ma noi non siamo gente che può sopportare che qualcuno ti derida. E ci siamo picchiati''. ''Pensavo fosse finita lì – aggiunge – Invece mi hanno scritto su Messenger per vedermi''.  —cronacawebinfo@adnkronos.com (Web Info)

Fabrizio Gerolla

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