Parto non casualmente dall’usura, quella del denaro, madre delle apocalittiche trasmigrazioni del nostro tempo. Molti pensano che il Fondo Monetario Internazionale (FMI) sia come l’orco delle fiabe, ma in realtà lui agisce in sinergia con le banche e riceve ordini dall’esterno, pur avendo la veste di istituzione fondamentalmente apolitica. Il debito dei paesi poveri collocati nel “sud del mondo”, oggi è arrivato all’esplosione, dopo una vertiginosa crescita geometrica. La perversione di questa azione già in essere negli anni 70/80 è tale da far impallidire il più cinico e feroce degli usurai, riproponendo in chiave diversa colonialismo e schiavismo. Gli stati indebitati con il sistema dei prestiti a tassi impossibili, espropriati delle loro risorse, costretti a negare i diritti più elementari al cibo, alla salute e alla istruzione entrano nel caos e la dissoluzione sociale conseguente determina milioni di morti e migrazioni bibliche di essere umani. Il debito diventa strumento di controllo politico da parte dei creditori, ma anche il detonatore di una miscela esplosiva come quella degli integralismi religiosi e culturali e questo spiega in termini chiarissimi le ripetute affermazioni di Papa Francesco: “Questa economia uccide!”. Dunque, l’usura come uno dei mali gravi se non il maggiore e l’aristotelico Dante, figlio di Alighiero di Bellincione, arricchitosi speculando sulle debolezze altrui ben lo sapeva, anzi il mero esercizio bancario con interessi lo considerava all’origine del peccato e degno di “bolgia”. Dunque dall’usura del danaro a quella del tempo il passo non è breve, ma essenziale, tant’è che Andrea Camilleri rivedeva in Tiresia, simbolo metamorfico nella diversità di genere e rivale di Anfiarao nelle preveggenze tebane., non un mago fraudolento, accecato e costretto per “contrappasso” a procedere con la testa girata al passato, ma destinatario del sommo privilegio delle doppie emozioni. Giusta la formula per fermare il tempo o meglio per sovvertirlo, annullarlo o magari dilatarlo nello spazio, come piaceva a Luciano De Crescenzo, ingegnere, poliedrico filosofeggiante nostro contemporaneo che, forte della sua esperienza olimpica di cronometrista, amava raccomandare la formula dello spazio tempo, piuttosto che quella del tempo spazio, insomma la larghezza per ampliarne la lunghezza, in termini esperienziali. Giuseppe Marotta, amico della mia famiglia, altro grande mentore della meridionalità italica, sempre nel fatidico 1960, addirittura mandò in stampa un suo ennesimo romanzo dal titolo esemplificativo “Gli alunni del tempo”, forse la perfetta sintesi di chi, come Andrea e Luciano, interpretando l’idea di “passato futuro”, continuava e continua ad alimentare emozioni ed aneliti del nostro presente.